Attraversare la storia del design. Leonor Antunes a Milano
“The last days in Galliate” si estende nello Shed dell’HangarBicocca, suddividendo lo spazio secondo due dimensioni, quella orizzontale e quella verticale. Tra corde di budello intrecciate, ottone e cuoio, le ricerche su due figure centrali dell’architettura e del design del ventesimo secolo diventano attraversabili.
Leonor Antunes (Lisbona, 1972) compone l’installazione che conferisce il titolo al suo progetto espositivo in HangarBicocca (the last days in Galliate) attraverso un metodo basato sull’attenta misurazione di elementi architettonici e dettagli compositivi. Quasi al centro dello Shed, tre sculture di cuoio sono state sospese poco al di sopra dello sguardo, come condensazione della ricerca dell’artista su Franca Helg e sulla sua attività in relazione al contesto di Milano e Galliate Lombardo, tra la fine degli Anni Quaranta e gli Anni Sessanta.
Il progetto che Antunes sintetizza è una villa progettata dall’architetto per i genitori e all’interno della quale visse. E, a partire dalle forme e dalle dimensioni del corrimano di una scala interna, Antunes realizza forme tubolari in cuoio, quali porzioni di quel progetto originale che ha visto nascere la componente architettonica di raccordo. Nello Shed, l’intera mostra si sviluppa per compartimentazioni aperte, come un vero e proprio diario compositivo spalancato sulle pagine di alcune ricerche, che legano Antunes anche alla storia del design e dell’architettura milanese.
LA MOSTRA
Il percorso comincia a terra, quando si calpesta modified double impression (2018), un’estesa installazione a pavimento che restituisce alla mostra l’integrità di un corpus unico e, ugualmente, parcellizzato. Realizzato in linoleum, il rivestimento si estende, sezionandola, sull’intera superficie, quale trasposizione ideale, su larga scala, di una stampa di Anni Albers del 1978 (Double Impression). Questo lavoro richiama la tecnica utilizzata, che prevede un doppio passaggio del foglio sotto la pressa per conferire alla stampa una colorazione più intensa.
Poco al di sopra, il lavoro più presente e decisamente ponderato dell’intero percorso (altered climbing form I, II, III, IV), 2017-18, filtra il percorso e introduce elementi nuovamente sospesi, definitamente modulari che concorrono ad arricchire l’ambiente. L’installazione, come una cortina ricercata, attraverso formelle in ottone verniciato di nero, verde, ocra, bianco e oro, si ispira a un rilievo astratto di Mary Martin, artista esponente del Costruttivismo britannico. A partire dall’originale Climbing Form (1954) Antunes crea quattro lavori concepiti come parte di un unico corpus scultoreo che attraversa l’ambiente da soffitto a pavimento, lasciando intravedere l’intero spazio per mezzo di trame e schermature.
CARLO MOLLINO
Fra le decine di lavori e di componenti d’arredo esposti, alla fine della mostra, il percorso regala l’irregolarità organica di random intersections #20 (2018), sculture realizzate con la stessa tecnica delle redini, con budelli di animali, lisciati e lucidati, nonché poi ammorbiditi per farli aderire a un progetto del 1940 di Carlo Mollino. Le lunghe corde, fissate a tutta altezza e poi annodate nel cadere dal soffitto, sono state intrecciate da artigiani che hanno mantenuto ben evidenti le qualità organolettiche del budello, rendendolo un veicolo di luce e di forza da gran finale, inatteso, spirituale.
‒ Ginevra Bria
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