Scelte minimali. Una collettiva a Jesi
Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, Palazzo Bisaccioni ‒ fino al 4 novembre 2018. Supporti minimali e democratici come scelta poetica in risposta al boom economico sono il fil rouge della mostra curata a Jesi da Andrea Bruciati.
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Dentro il cielo dell’arte ormai storicizzata degli anni che vanno dal boom economico all’epoca delle tensioni politiche, compare un’isola di carta, di disegni e fotografie, ma anche di altri materiali compositi, per una produzione più intima e meno spettacolare, rispetto alle loro opere più note, di trentadue protagonisti dell’arte italiana, attivi tra il 1963 e il 1980. Creando un parallelo con la fortuna, sul fronte della critica ma anche commerciale, dell’Arte Povera che si sviluppa negli stessi anni e della Transavanguardia che nascerà di lì a poco, il curatore Andrea Bruciati individua una “sensibilità poverista”, quasi un’attitudine degli artisti in mostra, che insistono su un’iconografia minimale, destinata di lì a poco a sconfinare nell’azione e nel concettuale, sviluppatasi dal contesto sociale e culturale del boom economico.
Disegno, fotografia e supporti tratti dalla vita quotidiana diventano così una scelta poetica prima ancora che una necessità documentativa di un’arte che si sta trasformando in performance e pensiero, volatilizzando la propria oggettualità. Sono mezzi democratici, moltiplicatori, facili, per questo perfettamente congruenti al nuovo immaginario visivo di quegli anni.
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Aldo Mondino, Senza titolo (La Madre), 1964
GLI ARTISTI E LE OPERE
Tra le opere in mostra, tutte provenienti da collezioni private, l’uso di questi supporti è variamente declinato come linguaggio espressivo della propria individuale poetica. Come il collage di cartoncino di Addizione di Vincenzo Agnetti, dove l’uso minimale del bianco su bianco sembra al contrario sottrarre; o la carta ritagliata di Alighiero Boetti, per cui ogni forma si fa astratta, che diventa una Faccina; o Aldo Mondino, che interviene con la matita su una stampa serigrafica imitando quei giochi che si trovano sui giornaletti di enigmistica; Pino Pascali, che disegna con il bitume e la tempera su una carta argentata; Lamberto Pignotti, pioniere della poesia visiva, che traccia segni con il pennarello su una pagina di giornale, capovolgendo il linguaggio consumistico dei mass media; o le sovrapposizioni di carte e cartoline varie, di forme e di colori di Concetto Pozzati nell’opera visual della mostra, perché “le immagini non nascono dall’immaginazione ma solo da altre immagini”; l’uso della polaroid di Franco Vaccari che, in anticipo sulla teorizzazione dell’arte relazionale, fa entrare il pubblico nella costruzione di senso della propria opera; fino ad arrivare, ma abbiamo citato solo alcuni esempi, alla possibilità data dalla fotografia, secondo Adriano Altamira, di denunciare il feticismo contemporaneo per l’accumulo e l’iperproduzione di immagini.
‒ Annalisa Filonzi
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