Dialoghi contemporanei con Tintoretto. Le ragioni di una mostra
Nel testo che accompagna il catalogo della mostra allestita a Venezia, alla Galleria Giorgio Franchetti alla Ca d’Oro e a Palazzo Ducale, il curatore Ludovico Pratesi descrive lo spirito fortemente contemporaneo di Tintoretto.
Cosa vuol dire dipingere un ritratto oggi? Quali problematiche concettuali e stilistiche vengono affrontate da artisti provenienti da tradizioni culturali profondamente diverse e lontane tra loro? Con quali modalità la raffigurazione del volto umano viene costruita per sottolineare gli elementi più significativi dell’espressione, in senso antropologico, simbolico o sociale?
Come scrive Jean Paul Sartre “Tintoretto è Venezia anche se non dipinge Venezia”, con una volontà di introspezione psicologica che rende i volti del pittore estremamente attuali, in grado quindi di stimolare una riflessione sull’evoluzione del ritratto contemporaneo, dove la descrizione lascia il posto all’interpretazione del soggetto raffigurato.
Le opere degli artisti internazionali delle ultime generazioni invitati a Dialoghi contemporanei con Tintoretto compongono una campionatura di immagini inquietanti o monumentali, legate alla tradizione o irriverenti, per tratteggiare una panoramica di opere sul tema del ritratto eseguite da punti di vista differenti, in un dialogo stimolante e a tratti sorprendente con i dipinti di Tintoretto, attivatore di prospettive culturali e artistiche sempre più frequenti nel mondo globale. Dal maestro Emilio Vedova, che ha avuto con Tintoretto un rapporto privilegiato fin da giovanissimo, fino ad artisti americani come Matthew Monahan o Josh Smith, la mostra costituisce un’occasione di riflessione sull’estrema modernità di Tintoretto, in grado di dialogare alla pari con i più affermati pittori della scena contemporanea. In un percorso a ritroso, dalla Galleria Giorgio Franchetti alla Ca d’Oro a Palazzo Ducale per scoprire la forza di un gigante del Cinquecento in dialogo con un maestro del Novecento e un gruppo di artisti internazionali delle ultime generazioni. Toccati, come lui, dalla “follia della pittura”.
CA’ D’ORO
La sede principale della mostra Dialoghi contemporanei con Tintoretto è la Galleria Giorgio Franchetti alla Ca d’Oro, che custodisce il Ritratto del Procuratore Nicolò Priuli (1549 ca.), capolavoro della ritrattistica tintorettiana, all’interno di un museo dove il ritratto è uno dei temi che attraversa le diverse collezioni, con punte di eccellenza come l’intenso Doppio ritratto di Tullio Lombardo o il delicato Busto di fanciullo di Giovanni Cristoforo Romano.
In un contesto dove le diverse tipologie di rappresentazione del volto nelle diverse epoche storiche appare come un possibile spunto di riflessione nel rapporto tra arte rinascimentale e contemporaneo, la mostra propone una sorta di quadreria ideale per approntare il dialogo tra l’opera di Tintoretto e dodici ritratti di altrettanti artisti contemporanei internazionali, di generazioni e nazionalità diverse: Michaël Borremans, Glenn Brown, Roberto Cuoghi, John Currin, Chantal Joffe, Victor Man, Yan-Pei Ming, Matthew Monahan, Wagenchi Mutu, Celia Paul, Markus Schinwald e Josh Smith.
Il Ritratto del Procuratore Nicolò Priuli, eseguito da Tintoretto intorno al 1549 e considerato opera giovanile ma di notevole qualità fisiognomica, rappresenta il nobile veneziano vestito con abiti privi di riferimento a cariche politiche, e fa parte di un cospicuo gruppo di ritratti di aristocratici veneziani in genere al culmine della loro carriera politica, che Augusto Gentili ha definito “ritratti di ruolo”. Da Jacopo Soranzo a Marco Grimani, da Alvise Cornaro ad Alessandro Gritti: ognuno di questi gentiluomini viene raffigurato con un’attenzione maniacale ai dettagli, in maniera da fissare sulla tela l’espressione diretta di un viso non artefatto ma reale.
Nell’opera dell’artista belga Michaël Borremans The Measure II (2007) si ritrovano alcuni elementi grotteschi tipici della pittura fiamminga, accentuati dall’artificio che rende difficile definire il confine tra il naso del soggetto e le dita della sua mano sinistra, che il pittore dipinge con una maestria quasi ossessiva su una tavola di legno di piccole dimensioni. Anche il protagonista di In my time of dying (2014) dell’inglese Glenn Brown possiede dei tratti vicini alla pittura accademica del Cinquecento, resi artificiali e quasi psichedelici da colori accesi e fluorescenti, in perfetta linea con la volontà di riappropriazione di opere del passato, tipica della sua ricerca. I ritratti dell’italiano Roberto Cuoghi tendono invece a esasperare i tratti somatici del soggetto: nell’opera Senza Titolo (2009) l’uomo ha l’aspetto di una sorta di santo contemporaneo in versione punk, con i segni di punture intorno all’occhio sinistro semichiuso. Anita Joy (2001) dell’americano John Currin è un ritratto che interpreta il volto dell’attrice Anita Ekberg, simbolo di gioia e felicità, tratteggiata con uno stile che riprende da una parte i ritratti barocchi e dall’altra le fotografie d’epoca dei divi di Hollywood. Un’attitudine simile a quella di Chantal Joffe, la pittrice americana che ha eseguito Molly in pink (2017) con uno stile volutamente sgraziato e deforme, per sottolineare l’importanza di cogliere l’essenza più intima del soggetto ritratto, in un sottile gioco tra sensualità e ironia. Untitled (2011) del rumeno Victor Man è il ritratto di un giovane dall’aspetto misterioso, con un’espressione malinconica e assente sospesa in un tempo indefinito, che riprende lo stile della Nuova Oggettività. Assertivo e arrogante appare invece Napoleon, crowning himself emperor (2017) del cinese Yan Pei-Ming, che ha interpretato un personaggio iconico della storia occidentale per far emergere il lato eccessivo, quasi grottesco, dell’imperatore francese che si autoincorona. Secret handshake (2016) dell’americano Matthew Monahan è un collage su carta che reinterpreta la classicità con un tocco leggero e ironico, quasi in chiave pop, proiettandone l’iconografia in una dimensione contemporanea. L’artista keniana Wagenchi Mutu ha sviluppato un immaginario favolistico intorno al tema dell’oggettivazione della donna africana, definito “afrofuturismo”, che combina tecniche e materiali diversi, caratterizzati da un’estetica complessa e raffinata come nell’opera Automatic Hip (2015). Head of Kate (1993-2014) dell’artista anglo indiana Celia Paul riprende la tradizione britannica di Lucian Freud, concentrandosi soltanto sui volti delle sue quattro sorelle, tra le quali Kate, colta in un atteggiamento pensoso e malinconico. Più enigmatica l’opera In the sand (2017) dell’americano Josh Smith, dove il personaggio raffigurato con uno stile pittorico rapido e veloce sembra uscito da un rituale del Ku Klux Klan. Ancora più misteriosa la tela dell’austriaco Markus Schinwald, Beth (2012), dove l’artista ci presenta una dama dal volto coperto da un panno damascato, che ricorda il video dell’omonima canzone dei Kiss, registrata nel 1976, dove i cantanti erano truccati con motivi in bianco e nero.
PALAZZO DUCALE
Per Emilio Vedova Jacopo Robusti è stato molto di più di un antico maestro di riferimento e ha costituito il supporto principale della sua formazione artistica. “Tintoretto è stato una mia identificazione. /Quello spazio appunto / una serie di accadimenti. Quella / regia a ritmi / sincopati e / cruenti, magmatici di energie / di fondi interni di passioni / di emotività commossa”. Così scriveva nel 1991 Emilio Vedova, che ha guardato a Tintoretto fin da giovanissimo: i primi studi sono datati 1936. Nel contesto monumentale e prestigioso di Palazzo Ducale sono esposte in dialogo con Tintoretto due opere: Non Dove’87 -1 (op.1- op.2) (1987) e …Dagegen…1987-’95-2 (op.3 – op.4) (1987-1995). Si tratta di grandi dischi (ispirati dalla cupola di Santa Maria della Salute, ha dichiarato Vedova) dipinti dal maestro in maniera libera e gestuale, con toni e colori ispirati ai teleri del Tintoretto. Un dialogo che ci permette di misurare l’influenza del Robusti su un grande maestro della pittura astratta del Novecento. “Tintoretto aveva i contenuti”, diceva Vedova: gli stessi contenuti sui quali riflettono gli artisti della mostra Dialoghi contemporanei con Tintoretto.
‒ Ludovico Pratesi
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