Nuovi formati dell’arte. Intervista all’artista Raffaella Della Olga
Stefano Chiodi fa il punto sul lavoro di Raffaella Della Olga, in questa intervista in cui approfondisce formati e pratiche della sua ricerca, mentre è in corso la sua mostra personale (fino al 17 novembre) da Éditions Dilecta a Parigi.
In questi anni hai lavorato essenzialmente in due modalità: gli interventi su stoffe colorate, variamente ritagliate e sagomate, e le opere su carta realizzate con macchine da scrivere meccaniche. Questi due procedimenti rinviano a due diversi modi espressivi?
La macchina da scrivere mi ha portata al tessuto, anche perché l’ho spesso immaginata come una macchina da cucire. C’è del resto un rapporto etimologico tra textum, il testo, e texere, il tessere. Il filo o il nastro inchiostratore scorrono su due supporti che lasciano una traccia, e poi ci sono il suono, il tratteggio, le linee delle cuciture. Oggi non posso separare i due procedimenti; è una specie di gioco di specchi, perché alla fine, mentre sto seduta per ore a scrivere a macchina, seguo traiettorie che ritrovo su alcune stoffe, e viceversa. Il libro è la matrice di quello che va sul muro, le due cose si completano.
Hai subito adottato per i lavori dattiloscritti il formato del libro?
Inizialmente ho usato la macchina da scrivere in modo convenzionale, come uno strumento di scrittura. Poi ho dattiloscritto su tessuto, prevalentemente cotone bianco, optando per forme precise come una tovaglia o delle cappe che si possono indossare. In seguito ho sostituito il nastro inchiostrato con la carta carbone colorata e il papier calque. Accumulando fogli scritti, carte carbone, copie, copie di copie, ho provato ad assemblare, a creare giochi di sovrapposizione, ottenendo un volume, qualcosa di più dinamico, e questo mi ha convinta a scegliere il formato del libro.
Il sistema di segni è quindi rimasto sempre quello iniziale, intenzionalmente limitato?
Più o meno; ho fissato come regola l’uso di pochi elementi ma non seguo alcun protocollo. Ho modificato alcuni elementi della tastiera della macchina da scrivere, cancellando per esempio la cifra “8” dal tasto col trattino: ho eliminato il numero con una lima e questo mi ha permesso di creare un segno non segno. Poi a un certo punto ho eliminato del tutto dalla macchina da scrivere i nastri inchiostrati e la carta carbone è diventata il solo mezzo per tracciare un carattere. A partire da quel momento, con questo metodo di impressione sono riuscita a inventare una specie di scrittura basata su trame e supporti di vario genere, tessuti, maglie in plastica, ecc., che lasciano tracce attraverso la carta carbone sul foglio. Alla base c’è sempre la quadrettatura, è un po’ un’ossessione: linee, quadretti, griglie.
Come procedi?
Se seguo la griglia non mi perdo, è una specie di struttura che permette un gioco di trasparenze, una sovrapposizione di linee che generano altri elementi, e un senso di movimento, di animazione, che si ritrova anche nei lavori su tessuto. Come dire, tramite una sottrazione ho aggiunto un numero di variazioni molto ampio e questo mi permettere di non ripetermi nella ripetizione.
Parliamo dei lavori su tessuto. Usi stoffe colorate molto particolari, scozzesi, africane, europee a motivi geometrici. Anzitutto come e perché hai cominciato a usare la stoffa stampata a colori e che metodi usi per lavorarla?
Il tessuto è stato un elemento aggiuntivo alla carta; inizialmente era cotone bianco sul quale tratteggiavo linee e forme grafiche. La carta non si può cucire, il tessuto sì, e questo mi ha permesso di interrogarmi sulla forma, sul volume. Successivamente ho incluso dei tessuti prestampati, è questo è avvenuto in concomitanza con la cancellatura di alcuni caratteri della macchina da scrivere. È cosi che sono riuscita a riprodurre dei motivi tartan o scozzesi. Quando intaglio nei tessuti per toglierne un frammento, compio il processo inverso a quello che faccio con la macchina scrivere: sul foglio bianco imprimo un segno, quindi un colore e poi una forma, sul tessuto, che ha già una sua forma, attuo una sottrazione, incidendolo col taglierino.
Quindi “intagli” la superficie del tessuto stampato seguendone il pattern geometrico?
Sì, e questo avviene già nel momento in cui scelgo un tessuto, nel senso che il lavoro inizia già nella selezione delle stoffe. Mi guida probabilmente un’immagine soggiacente che mi rimanda alle perforazioni della pellicola fotografica o cinematografica e ai Frozen Film Framses di Paul Sharitz. Quando il tessuto è tagliato in maniera sistematica e ritmica – cioè proprio seguendo un ritmo, perché lo svuotamento di un elemento del tessuto è legato a una partizione – la componente luminosa crea una forma-volume, una sensazione ottica nuova accentuata dallo spostamento fisico.
Spesso presenti il tessuto a parete ripiegato su sé stesso, le due superfici sospese a pochi centimetri l’una dall’altra, e questo determina una duplicazione e una trasparenza, e tra le forme ci sono rettangoli irregolari e triangoli che suggeriscono dinamismi diversi. È un richiamo intenzionale alle shaped canvases di certa pittura astratta?
Per me il tessuto rappresenta qualcosa che si può manipolare, piegare, stirare. Ha una certa sensualità e al tatto trasmette delle sensazioni. Non lo delimito in una cornice. La sua versatilità mi trasmette un’idea performativa.
Quindi investire lo spazio, non più solo quello bidimensionale della parete ma anche quello tridimensionale?
Il tessuto in sé ha già, per la sua composizione grafica e per i colori, un elemento tridimensionale, per lo meno io lo vedo così. Il mio intervento potenzia questo aspetto intrinseco dandogli volume. E questo anche perché mi voglio distinguere dalla pittura, ciò che faccio è più scultoreo in un certo senso. Con i tasti della macchina da scrivere, batto, batto, batto un continuo martellare sul foglio…
Proiettare la superficie nello spazio è un procedimento valido anche nel caso dei libri?
Sì, il libro è un oggetto, la bidimensionalità della scrittura diventa obbligatoriamente un supporto costruito e un montaggio. Quando ho finito di scrivere, non so, cinquanta fogli, mi prendo il tempo di fare una selezione, di decidere quale pagina mettere con quale altra pagina, perché c’è un gioco di incontri che si fa solo in quel momento lì. Io vedo il mio lavoro in termini di produttività, devo fare, fare è la mia ossessione: fare velocemente e concretamente, per soddisfare una necessità interiore.
–Stefano Chiodi
Parigi// Fino al 17 novembre 2018
Raffaella Della Olga, Dépliements, Éditions Dilecta
49, rue Notre-Dame de Nazareth
http://www.editions-dilecta.com/fr/content/16-expositions
www.raffaelladellaolga.com
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