Beghe legali per il patrimonio dell’artista Robert Indiana. All’asta la sua collezione
La fondazione che detiene il marchio di LOVE, l’opera più celebre dell’artista, ha mosso una causa legale contro l’assistente di Indiana, accusandolo di averlo manipolato a fini testamentari. Per sostenere le spese processuali, intanto sono stati venduti due dipinti della collezione dell’artista…
Le aste newyorchesi in corso in questi giorni stanno facendo parlare molto, catturando l’attenzione della stampa di tutto il mondo per via dell’ultimo record raggiunto in casa Christie’s: il celeberrimo dipinto Portrait of an Artist (Pool with Two Figures) di David Hockney è stato venduto per oltre 90milioni di dollari, coronando così il pittore britannico come il più costoso artista vivente. Cifre stratosferiche e aneddoti diventati quasi leggenda che hanno fatto passare in secondo piano artisti e opere protagonisti dell’asta, sebbene dietro ad alcune delle vendite in programma si celassero storie ben più articolate e quasi da romanzo. Stiamo parlando di Ruby e Orange Blue, opere realizzate rispettivamente da Ed Ruscha e Ellsworth Kelly, entrambe provenienti dalla proprietà di Robert Indiana (New Castle, Indiana, 1928 – Vinalhaven, Maine, 2018) tra i più iconici e rappresentativi autori della Pop Art. Il motivo della vendita? Ricavare denari per coprire le spese di una causa legale che riguarda proprio il patrimonio dell’artista.
LA VICENDA
Tutto partirebbe dalle volontà testamentarie di Indiana: subito dopo la morte dell’artista, l’ufficio del Procuratore Generale del Maine ha annunciato che avrebbe monitorato il caso, che ha avuto la sua prima udienza preprocessuale in un tribunale distrettuale di Manhattan a luglio. L’avvocato che rappresenta il patrimonio di Indiana, la cui stima si aggirerebbe sui 50 milioni di dollari, avrebbe cercato documenti per determinare l’entità dei beni dell’artista, sulla base del “ragionevole sospetto” che alcuni di questi beni “potrebbero essere stati trasferiti altrove o altrimenti sottratti o venduti senza il dovuto risarcimento”. Ma da dove giungerebbe tale sospetto? A maggio la Morgan Art Foundation (MAF), dagli anni Novanta rappresentante di Indiana e proprietaria del famoso marchio LOVE dell’artista, ha intentato una causa a New York contro l’assistente di Indiana, Jamie Thomas, e un editore d’arte, Michael McKenzie. MAF affermava che la coppia ha sfruttato Indiana verso la fine della sua vita, producendo opere dubbie a suo nome e isolandolo dagli amici. Ma soprattutto, la fondazione mette in discussione una presunta volontà dell’artista, secondo la quale Thomas avrebbe dovuto ricoprire l’incarico di direttore del museo che Indiana intendeva fondare nella sua casa sull’isola di Vinalhaven. Direzione che però, secondo l’avvocato della MAF, Thomas non sarebbe in grado di assumere perché non qualificato.
IL PATRIMONIO IN VENDITA
Dall’altra parte, McKenzie afferma invece che la causa è semplicemente “un tentativo futile” per screditare Thomas, che l’editore descrive come “il migliore amico e assistente di studio di Bob, e che ha dipinto per lui per molti anni”. Intanto però il processo continua e le spese per sostenerlo sono onerose al punto da avere spinto alla vendita di due opere appartenenti alla collezione di Indiana, con grande disappunto dei critici d’arte statunitensi: all’unisono affermano che la tenuta dell’artista dovrebbe rimanere integra, perché rivelano intuizioni, ispirazioni, e influenze che hanno determinato l’opera di Indiana. “Quelle sono opere importanti”, ha dichiarato al New York Times John Wilmerding, professore emerito di arte americana alla Princeton University. “In qualche modo il suo patrimonio dovrebbe essere tenuto insieme. Non solo le opere di Indiana, ma anche quelle di altri artisti da lui collezionate”.
– Desirée Maida
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati