Cy Twombly e Tancredi insieme. A Milano
Tommaso Calabro, Milano ‒ fino al 30 novembre 2018. Nel cuore di Milano, il dialogo tra Cy Twombly e Tancredi inaugura la nuova galleria Tommaso Calabro, situata al piano nobile di Palazzo Marietti, in Piazza San Sepolcro. Infinite tracce, vibranti gesti, un vortice di emozioni per questi due maestri indiscussi.
Ultimissimi giorni per visitare la mostra che ha inaugurato la nuova galleria Tommaso Calabro, a pochi passi dal Duomo. “Spero di poter trasmettere quello che ho appreso a Londra nella mia galleria a Milano. In altre parole, spero di saper osare anche qui”. Questa la promessa che ci aveva fatto Tommaso Calabro, fino allo scorso aprile tra i dirigenti della galleria Nahmad Projects a Londra. Osare? E così sia. Facendo fede alle sue parole, in pieno centro storico e nel modo più “anti white cube” possibile.
Come una meteora, il giovane e brillante gallerista, ha inaugurato gli spazi espositivi con sedici opere ‒ dieci lavori (tra cui due inediti) di Tancredi Parmiggiani e sei di Cy Twombly ‒, omaggiando la figura di Carlo Cardazzo, geniale gallerista veneziano che dagli Anni Quaranta ha segnato un’epoca nel panorama artistico italiano e internazionale con le gallerie del Cavallino a Venezia, del Naviglio a Milano e Selecta a Roma. Da Venezia a Milano, quindi, proprio in quella città che sessant’anni fa ha visto esporre entrambi gli artisti, grazie al lungimirante e pionieristico gusto di Cardazzo; in questa città che, viva e dinamica, oggi come allora, persegue il ruolo di centro propulsore di stili e tendenze.
TWOMBLY
Salendo uno scalone ottocentesco con corrimano in marmo rosso, la mostra si sviluppa in tre sale finemente illuminate con le opere di Twombly e Tancredi poste in ordine emozionale. Un’energia scorre, freme, zampilla sinusoidale tra le opere e le decorazioni a stucco, gli affreschi e i pavimenti in legno intarsiato. È proprio l’accostamento dei vulcanici lavori di Tancredi alle opere delicate ma intense (tutte su carta) di Twombly a dar luogo a una tensione nuova, differente e complementare. Esplosiva, erotica e vibrante.
In Twombly si respira una tensione nervosa e sotterranea o meglio, in potenza, che “sta per esplodere”, come ricorda Roland Barthes, che del geniale artista ha scritto: “His work is based not upon concept (the trace) but rather upon an activity (tracing)“.
In tutte e sei le opere esposte troviamo il segno grafico tipico dei suoi lavori di questo periodo: un segno allusivo che scherza (pur sempre molto seriamente) con i vuoti, i bianchi e i colori sgargianti. Una traccia aperta, sporca, non finita, di apparente semplicità e immediatezza.
Due opere su tutte. In Senza titolo (1969) un vortice orgiastico (tremori libidici di seni femminili e elementi fallici) piovono a caduta libera sulla pagina, tra elementi geometrici e scorci di leggibilità: 4 lettere “F” “I” “G” “A” lampeggiano, sporcano il biancore e, senza mezzi termini, dialogano con i gesti colti e concettuali (in primis l’emblematica finestra albertiana).
Nella seconda, Senza Titolo (1970), con solo poche linee grafiche blu e nere è dato, delicatissimo e sublime, il movimento delle onde del mare, proprio a quel Mediterraneo illuminato dal sole così tanto amato dall’artista, autodefinitosi “pittore mediterraneo”. Un mare intriso di luce e di interiorità, dove ogni spettatore si ritrova e si riconosce.
TANCREDI
Incalzata da una carica elettrica, da un moto che sale e scende di opera in opera, la tensione trova finalmente modo di uscire allo scoperto nelle tele di Tancredi. Qui vive, fremente e zampillante, tra le acque e i riflessi così magicamente ordinati di una Venezia lontana. Il segno dell’artista diviene un gesto che si inscrive in una fitta trama compositiva. Opere aperte, alcune vigorosamente vivaci e altre di una bellezza luminosa (Senza Titolo, 1958) esprimono tutta l’esplosione nel suo essere più intenso.
Venezia torno nell’oro di Senza titolo (1949), una rara opera giovanile dell’artista che attesta il suo passaggio all’astrazione a seguito dell’incontro con il Neoplasticismo di Mondrian. In Senza Titolo (1959) possiamo notare nell’angolo sinistro un timido e isolato mostricciattolo, uno dei primissimi “matti” del geniale artista.
IL RUOLO DEL GALLERISTA
Rievocando un’importante (e beneaugurante) storia di galleria, quella di Carlo Cardazzo, Tommaso Calabro ci pone di fronte alla non scontata, ai tempi d’oggi, questione del ruolo del gallerista. Una figura che sembra dover sintetizzare qualità come il coraggio, l’intraprendenza di un ricercatore e di un uomo a tutto tondo dai poliedrici interessi quale Cardazzo era.
Punto di riferimento e di circolazione di idee culturali innovative in un’epoca in cui l’editoria d’arte e di poesia contemporanea era inesistente, egli ne promosse la diffusione (Apollinaire, Breton, Joyce, Cocteau, tra gli altri) così come la sua casa divenne presto una sorta di cenacolo di ingegni tra i più brillanti dell’epoca (da Lucio Fontana a Carlo Scarpa). Ruolo promulgativo centrale riconosciutogli dalla stessa Peggy Guggenheim, con la quale intrattenne per anni un fitto e proficuo rapporto.
Come ha scritto di lui Luca Massimo Barbero: “(…) la sua personalità era paragonabile ai vulcani che nascono all’improvviso e che nell’arco di una notte vanno a formare un’isola, che poi magari viene dimenticata, ma che resta lì, per sempre”.
Osare, quindi, ma con straordinaria inventiva, enorme cultura e sensibile profondità d’animo. Per sottolineare il grande valore che l’editoria ha avuto per Cardazzo, nella prima sala è possibile osservare, grazie al prestito della Fondazione Cini e della famiglia Cardazzo, i preziosi cataloghi (alcuni di essi delle piccole opere d’arte) prodotti dallo stesso e dedicate ai due artisti.
‒ Eleonora Milner
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