Muore all’età di 82 anni Ennio Tamburi, pittore minimalista che scriveva con le forme e i colori
Nipote del pittore Orfeo Tamburi, Ennio si avvicina all’arte concettuale e al minimalismo negli anni Cinquanta, diventando tra gli autori più raffinati della pittura italiana del Novecento. Celebri i suoi acquerelli in cui forme geometriche e colori danno vita a trame allo stesso tempo complesse e semplici
“Ciao papà, grande artista e sognatore…”. A dare la notizia della scomparsa dell’artista Ennio Tamburi è la figlia Vanessa, con un post pubblicato questa mattina sul proprio profilo Facebook. Tamburi è scomparso all’età di 82 anni a seguito di una lunga malattia, dopo una vita dedicata alla pittura, passione trasmessagli dallo zio Orfeo, e alla ricerca di uno stile e di una forma peculiari, figli della complessa temperie artistica del Novecento italiano, diventandone uno degli interpreti più raffinati: noti i suoi disegni minimalisti, in cui forme e colori si integrano in motivi allo stesso tempo rigorosi e semplici.
LA PASSIONE PER LA PITTURA
Nato a Jesi, in provincia di Ancona, nel 1936, Ennio Tamburi si avvicina alla pittura grazie allo zio Orfeo Tamburi, artista (anche lui originario di Jesi) riconosciuto come uno dei maggiori maestri dello scenario artistico italiano del Novecento, reinterpretando le poetiche formali di Paul Cézanne, con il quale era entrato in contatto a Parigi negli anni Trenta. A raccontare il suo primo approccio alla pittura e il legame con lo zio Orfeo è stato lo stesso Ennio, in questa intervista pubblicata su Artribune lo scorso marzo: “provengo da una famiglia marchigiana priva di tradizioni artistiche, e in cui mio zio, Orfeo Tamburi, era di fatto un isolato, ma al quale io fui sempre molto legato, sin da quando, da piccolo, mi regalò una scatola di colori per Natale. Lo zio viveva già a Roma quando, dopo la Seconda Guerra Mondiale, il resto della famiglia vi si trasferì da Jesi: io, appena adolescente, ero l’unico a essere ammesso nel suo atelier in via Sistina, dove mi capitava d’incontrare personalità come Curzio Malaparte o Ennio Flaiano, amici di Orfeo, ma soprattutto potevo avvicinarmi alla pittura, sentendo sempre più chiaramente che l’arte sarebbe stata il centro della mia vita”.
IL CAMBIO DI ROTTA
“Volevo molto bene a mio zio, ma sentivo che dovevo allontanarmi dal suo stile o ne sarei rimasto intrappolato, e anche per questo cercavo una mia strada nei fermenti dell’astrazione e della politicizzazione che a quei tempi – eravamo ormai verso la metà degli Anni Cinquanta – stavano trasformando la scena artistica”. Così Ennio Tamburi si avvicina alle correnti dell’astrattismo e del minimalismo, scelta – in quegli anni in cui la politica aveva un ruolo determinante nei destini degli artisti – coraggiosa e difficile, che però per il pittore rappresenta l’unica via per raggiungere il massimo grado della libertà espressiva: “in quel periodo, c’era una sorta di assicurazione sulla propria vita artistica, che consisteva nel legarsi al partito comunista: c’erano critici, giornalisti, un vero e proprio circuito anche di mercato che girava intorno al PCI con il perno dell’arte come mezzo di comunicazione per il popolo. Fino ai primi Anni Sessanta anch’io feci parte di questo sistema, ma col passare del tempo mi rendevo sempre più conto dei limiti spirituali che questa scelta m’imponeva”, ci raccontava l’artista.
MILANO E LA SVIZZERA
Tamburi inizia così a utilizzare metalli e neon per le sue sculture, si ispira alle poetiche di Robert Barry, Donald Judd, James Turrell ed Ellsworth Kelly. Negli anni Sessanta frequenta l’ambiente milanese, dove si confronta con Alighiero Boetti e Jannis Kounellis. Ma la svolta arriva negli anni Settanta, quando Leo Castelli gli propone di presentare una personale alla sua galleria di New York: qui Tamburi guarda da vicino le opere di Barnett Newman e Agnes Martin, la cui arte ha avuto su di lui un “effetto per così dire psicanalitico, liberatorio, e che nel corso del tempo mi ha portato ad abbandonare definitivamente i limiti di tele e cornici, la pesantezza dei colori a olio o acrilici”. Negli anni Novanta frequenta spesso la Svizzera – a Zurigo l’artista aveva uno studio, oltre a quello di Roma – dove quasi casualmente si approccia a un nuovo medium, quello della carta: inizia così a lavorare con gli acquerelli, sviluppando un codice fatto di puntinature, forme e colori: “la mia direzione è verso forme geometriche non finite, fluide, con la materia liquida dei colori lasciata libera di correre: io creo degli argini sulla carta, ma mi piace anche che le forme passino comunque, sfaldandosi. C’è in questo, credo, un nuovo senso drammatico che è entrato nella mia vita: in effetti, l’acqua è anche qualcosa che sfugge. Come il tempo”, commentava poeticamente l’artista. Le opere su carta di Ennio Tamburi sono state protagoniste nel 2012 di Semplice. Complesso, retrospettiva dedicata all’artista alla GNAM – Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
– Desirée Maida
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