London is open, l’art residency anti-Brexit dall’anima italiana. Intervista ad Alex Urso
Si è da poco conclusa a Londra la residenza rivolta ad artisti italiani promossa da Art Apartments che riflette sui temi dell’apertura e dell’integrazione. Abbiamo intervistato Alex Urso, tra i creativi partecipanti al progetto
Poco tempo fa vi abbiamo parlato di Art Residency – London is open, residenza artistica organizzata a Londra da Art Apartments, una compagnia che gestisce appartamenti in affitto nel centro della città inglese con una peculiarità: la vocazione per l’arte contemporanea. La residenza infatti, nata da un’idea di Laura Bertollo e Alessia Pirolo, ha lo scopo di portare all’interno degli appartamenti non solo le opere d’arte, ma anche i loro creatori, invitando per un periodo di tempo artisti italiani a realizzare progetti e lavori site-specific. London is open è il titolo della residenza da poco conclusasi che Art Apartments ha promosso in collaborazione con la Estorick Collection of Modern Italian Art: un motto preso in prestito dalla campagna lanciata dal sindaco di Londra Sadiq Khan per ribadire l’apertura della città dopo i risultati del referendum Brexit. I vincitori della residenza sono stati Alberto Gianfreda (Desio, 1981) e Alex Urso (Civitanova Marche, 1987), tra le penne di Artribune, che ci ha raccontato come è andata l’esperienza e il progetto Look how far I come, sviluppato durante le cinque settimane di soggiorno londinese.
Parlaci del progetto di residenza che hai realizzato sul tema London is open.
Per rispondere al tema ho elaborato un progetto dal titolo Look how far I come, diviso in due capitoli: il primo consiste in una bandiera, che unisce graficamente la Greater London flag (ovvero la bandiera che racchiude i 32 quartieri della città di Londra) e la Refugee Nation flag (ovvero la bandiera che ha rappresentato per la prima volta nella storia gli atleti apolidi – rifugiati politici – alle Olimpiadi di Rio del 2016). In questo caso il mio lavoro è stato una somma grafica tra queste due bandiere in qualche modo opposte: la prima intesa come simbolo del sentimento di appartenenza alla città di Londra, e la seconda come simbolo di tutti quelli che per motivi politici esterni sono stati privati della loro identità nazionale.
La seconda parte del progetto invece come è stata sviluppata?
Si è trattata di una performance che mi ha visto entrare in dialogo con i cittadini di Londra: durante il periodo di residenza mi sono presentato a casa di più londinesi possibili, toccando più angoli possibili della città, dalla zona 1 alla 6 (insomma dalla City alla periferia inoltrata). Ho bussato alle porte di decine e decine di persone, e ad ognuna ho chiesto uno scambio di zerbini: il mio, nuovo e con un messaggio ben preciso, “WELCOME”, in cambio del loro. Se la persona che mi apriva era “welcoming”, e dunque pronta a intendere quel messaggio di benvenuto in senso pieno, avveniva il baratto di zerbini; se invece la persona non era d’accordo con il messaggio, il tappetino rimaneva a me.
Qual è stato il risultato finale?
Un’installazione composta da un mosaico di zerbini londinesi, fatta di tutti gli zerbini raccolti – compresi quelli del rifiuto (esposti a testa in giù). Idealmente, il progetto ha provato a definire quanto la città di Londra sia aperta o meno, in un periodo storico delicato e che prevede l’uscita dell’Inghilterra dall’Europa: i tappetini esposti a pancia in su dimostravano il numero dei londinesi aperti; quelli girati al contrario indicavano invece una risposta di chiusura.
Hai bussato alla porta di persone sconosciute. Quali sono state le loro reazioni?
Le risposte sono state diverse: dalla persona estremamente solidale col messaggio di apertura, al tizio che sbraitava cose a caso contro la politica e l’Europa, dagli stranieri che odiano gli stranieri, a chi mi invitava a bere whisky dentro casa.
Quali sono state le reazioni più inaspettate?
Penso quelle a Islington, uno dei quartieri più ricchi della città. Qui la Brexit non è passata, dunque mi aspettavo maggiore apertura – mentre ho trovato il contrario. Ho percepito che nei quartieri più altolocati, dove statisticamente vivono fasce abbienti e culturalmente preparate a percepire gli effetti di fenomeni come Brexit, non necessariamente c’è apertura quando si entra nel privato. Al contrario nelle periferie, nonostante il messaggio della Brexit abbia avuto più consenso, ho trovato comunque quasi sempre disponibilità al dialogo, ad aprire la porta e a parlare: in fondo chi non ha niente, non ha niente da perdere.
Il tuo progetto che sviluppi avrà in futuro? Dopo l’esposizione di fine residenza, procederai in Italia o in altri paesi?
Sono già tornato a Varsavia, dove ho vissuto negli ultimi sei anni. A gennaio tornerò più o meno stabilmente in Italia. Da marzo partirò per un’altra residenza, dove vorrei riprendere il tema qui sviluppato portandolo verso nuove strade.
– Desirée Maida
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