Un simposio al Castello di Rivoli spiega The City of Broken Windows di Hito Steyerl. Il report
La mostra di Hito Steyerl The City of Broken Windows ricopre un ruolo fondamentale nel programma del Castello di Rivoli. Al centro, l’indagine sul tema dell’Intelligenza Artificiale e il suo ruolo nell’ambito del controllo sociale.
L’installazione The City of Broken Windows –qui descritta–, e ospitata a partire da novembre 2018 (ha inaugurato nell’ambito dell’art week intorno ad Artissima) al Castello di Rivoli, è decisamente atipica per Hito Steyerl, che si relaziona alla Manica Lunga e alla cultura torinese discostandosi dalla propria pratica recente, caratterizzata da installazioni immersive come Hell Yeah We Fuck Die o Factory of the Sun. Come sottolinea Carolyn Christov-Bakargiev, direttrice del Museo d’arte contemporanea italiano, The City of Broken Windows non è solo il primo lavoro in cui l’artista inserisce un testo direttamente nell’installazione ma è quasi “una mostra di Arte Povera”, dialogando direttamente con la città del visibile e dell’invisibile di Giovanni Anselmo per aprire una riflessione sui temi di IA, controllo sociale e sulla “nebbia” prodotta dalla nuvola di informazioni digitali. Il cloud che scende di quota e si materializza, infatti, attraverso gli schermi che ci circondano, diventando una nebbia quasi impossibile da penetrare. Per meglio articolare le problematiche sollevate dalla mostra il museo ha indetto un simposio in cui il pubblico ha potuto approfondire il modo in cui l’IA influenza la nostra esistenza, pensando a come sfuggire a un futuro distopico sollevato più volte dai relatori: oltre a Steyerl hanno partecipato il collaboratore Jules Laplace, sviluppatore del sistema di IA “primitiva” alla base della mostra, l’accademica Esther Leslie, che ha presentato il suo testo Liquid Crystals (tradotto da Kabul), la studiosa di politiche digitali Anne Roth ed Eleanor Saitta, attivista, hacker ed esperta di cybersecurity.
IL REPORT
A Torino Steyerl inizia la riflessione sottolineando come l’IA, in particolare nel campo della polizia predittiva, stia riportando in auge la pseudoscienza di Cesare Lombroso. Grazie all’accumulazione massiccia di scan facciali infatti i cinesi Xiaolin Wu e Xi Zhang hanno messo a punto un sistema di deep learning che dovrebbe diventare in grado di identificare un criminale semplicemente dalla sua fisionomia. Al tempo stesso l’UE sta testando iBorder ctrl, sistema in grado di identificare sintomi di stress sul viso dei viaggiatori per concedere o negare un visto sulla base del giudizio dell’ufficiale-robot di dogana. Da una meccanica simile Jules Laplace ha invece insegnato a un sistema di IA “primitivo” a comporre qualcosa di simile alla musica partendo da input sonori. Cercando di processare parole e canto umano l’IA si confonde in una specie di parodia disarmonica; diventa invece più brava con suoni come il tintinnio del vetro riprodotto in mostra. L’IA di Laplace non è in grado di pensare, dare giudizi o compiere scelte umane, sembra però “divertirsi” nel suo non saper cantare come “un cucciolo felice di saper fare un suono”.
CAMBIARE PROSPETTIVA
Ciò che emerge dal simposio è una profonda preoccupazione per un’imminente “morte dell’illuminismo” in cui l’uomo decide di porsi nelle mani di un essere infallibile: il Dio nella scatola, un calcolatore immenso capace di apprendere e prendere decisioni su basi non umane. Il ruolo dell’arte può essere importante per contribuire a un dibattito che porti a un possibile ripensamento e a un approccio più consapevole alla questione; l’arte può essere, nelle parole quasi apocalittiche di Eleanor Saitta, il “megafono carismatico” per far sentire la voce del genere umano al Dio nella scatola, rimuovendo la scatola per essere in grado di usarlo senza esserne vittime. Il suggerimento finale di Steyerl è di cambiare prospettiva per essere in grado di pensare la questione in maniera distaccata, tornando indietro fino al tardo medioevo in un parallelismo che avvicina la fiducia nell’IA alla magia in un noto dilemma medievale che recita: “quanti angeli possono danzare sulla punta di uno spillo?”. Gli angeli, riflette Steyerl, hanno certe affinità con l’IA: non hanno una componente fisica, sono eterei, onnipotenti e trascendono la natura umana. Non possono essere visti, sono rappresentati nell’arte ma non possiedono ombra. L’IA, al contrario, non può essere vista e personificata dall’uomo, ma proietta un’ombra di cui non si può percepire l’origine. L’IA può darci infinite risposte, ma non può conoscere la domanda originale, non è in grado di formularla. Ci serve una tale risposta? Secondo Steyerl no: ciò di cui abbiamo bisogno è saper formulare la domanda corretta, riuscire a coordinare una danza angelica, una coreografia sociale che utilizzi l’IA per garantire dignità nella vita di oggi.
– Pietro Consolandi
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati