Come sarà la prossima edizione di Arte Fiera a Bologna? L’intervista al direttore Simone Menegoi
Simone Menegoi, neo direttore di Arte Fiera Bologna, racconta ad Artribune come sarà la prossima edizione della kermesse fieristica d’arte più antica di Italia. Questa edizione sarà la prima del suo mandato.
Era stato nominato direttore di Arte Fiera Bologna a luglio 2018, dopo un bailamme di nomi, indiscrezioni, post su Facebook e così via. Lui è Simone Menegoi, curatore dal brillante curriculum inaugurato proprio a Bologna, città in cui ha studiato. Classe 1970, ha coordinato Per4m la sezione di performing arts ad Artissima. Ha curato mostre in spazi pubblici e privati in Italia all’estero, dal Museo Marino Marini a Extra City Kunsthal di Anversa, dalla Triennale di Milano al Nouveau Musée National de Monaco. Le sue pubblicazioni sono apparse in cataloghi importanti prodotti dal Camden Arts Centre di Londra al Ludwig Museum di Budapest, fino alla Fondazione Prada, per citarne alcuni. Dopo un primo annuncio a fine 2018 che dava le linee guida, location e progetti per il programma collaterale di Art City, oggi è pronto a raccontarci qualcosa della sua Arte Fiera che si svolgerà dal 1 al 4 febbraio 2019. Ecco come sarà la 43 edizione, la prima dell’”epoca Menegoi”.
Partiamo dall’inizio: Come sarà la tua Arte Fiera? In che modo sarà uguale e sarà diversa dalle precedenti edizioni?
La “mia” Arte Fiera – fra virgolette, perché sarà il risultato di un lavoro di squadra – cercherà di assumere la propria italianità come valore fondante, ma senza scadere nel provincialismo, né chiudersi all’estero; rafforzerà i propri legami con la città e con il territorio, cercando nuove partnership e collaborazioni in loco oltre a quelle già esistenti; si sforzerà di operare una selezione sempre più esigente delle gallerie e delle loro proposte; punterà su sezioni curate di alto livello. È un lavoro in progress, e richiederà tempo, ma i primi effetti di questo approccio si vedono già. Nella selezione delle gallerie, ad esempio, segnalo parecchi graditi ritorni (Monica De Cardenas, Alberto Peola, Studio Sales, Monitor) e new entries come Norma Mangione, Operativa Arte Contemporanea, Ermes-Ermes.
Sicuramente non hai avuto moltissimo tempo per lavorare… su quali aspetti sei intervenuto nei primi mesi del tuo lavoro?
La primissima iniziativa è stata quella di ridurre il numero di artisti che si possono presentare; non più di tre, per gli stand fino a 64 mq; fino a un massimo di sei per quelli più grandi. Una misura volta a spronare le gallerie ad approfondire il lavoro di ogni artista, e a presentare una selezione particolarmente curata di opere. Inoltre, abbiamo concesso condizioni particolarmente favorevoli a chi volesse presentare un solo artista, con il risultato che circa un terzo degli stand saranno monografici: una percentuale che credo sarà caratterizzante per questa edizione. Subito dopo, abbiamo deciso di affidare la sezione di fotografia alla piattaforma curatoriale Fantom (Selva Barni, Ilaria Speri, Massimo Torrigiani, Francesco Zanot) che ha dato alla selezione delle gallerie e dei progetti un taglio ibrido e sperimentale, legato all’arte contemporanea più che alla fotografia tout court.
Come ti sei sentito a confrontarti con il mercato? La tua figura è percepita come piuttosto “alta” mentre per mettere assieme una fiera bisogna decisamente sporcarsi le mani: in ultima analisi si tratta di vendere metri quadri…
“Vendere metri quadri” mi sembra una definizione un po’ riduttiva dei compiti di un direttore di fiera! Da parecchi anni le fiere sono anche – non solo, ma anche – delle piattaforme curatoriali imprescindibili. E io, da persona che proviene dalla critica e dalla curatela, intendo approfittare pienamente dell’occasione offerta in questo senso da Arte Fiera. Segnalo in particolare tre iniziative dell’edizione 2019: “Solo figura e sfondo”, a cura di Davide Ferri, grande mostra di opere dalle collezioni istituzionali, pubbliche e private, di Bologna e dell’Emilia Romagna, primo episodio di un ciclo (“Courtesy Emilia Romagna”) che si propone di esplorare la ricchezza e la specificità delle collezioni del territorio. “Oplà – Performing Activities”, a cura di Silvia Fanti, una rassegna di azioni e interventi di Alex Cecchetti, Cristian Chironi, Cesare Pietroiusti, Nico Vascellari, che si svolgeranno nella fiera, al limitare di essa e in città, creando spazi in cui vige un regime economico diverso da quello del mercato (il dono, per esempio, o il baratto). E infine “Hic Et Nunc” di Flavio Favelli, un ambiente / installazione che, come una grande lounge democratica, accoglierà il pubblico di Arte Fiera una volta superato l’ingresso.
Quanto al modo in cui vengo percepito, ti assicuro che anche un curatore “alto” (definizione che certamente mi lusinga) non può esimersi dal confrontarsi con questioni di budget, di sponsorizzazioni, di strategie… Ho partecipato a varie edizioni di Artissima come curatore di sezioni a cui le gallerie accedevano a pagamento. A quelle gallerie non ho proposto solo un’idea curatoriale ma anche, concretamente, di comprare degli stand.
Inizialmente peraltro si era parlato di una figura manageriale. Come si è arrivati alla tua nomina?
Non sono i vertici di Bologna Fiere ad essersi espressi in questo senso. L’opinione a cui fai riferimento è di Matteo Lepore, l’assessore alla Cultura. La mia nomina è probabilmente frutto del ciclo di mostre che ho curato a Palazzo De’ Toschi di Bologna grazie a uno sponsor privato (Banca di Bologna). Credo siano state quelle mostre – regolarmente incluse nel circuito Art City e ben accolte dal pubblico e dalla stampa – ad avere attirato l’attenzione sul mio lavoro.
Avete da poco lanciato il programma di Art City con una qualità di proposte davvero impressionante. Quanto conta oggi per una fiera coinvolgere la città? E quanto conta il programma che riesce a mettere in campo per i collezionisti?
Sono felice che tu abbia notato la qualità delle proposte di Art City 2019. Dalla prima personale italiana di Mika Rottenberg al MAMbo alla retrospettiva di Goran Trbuljak a Villa delle Rose, dalla personale di Thomas Struth al MAST alla prima personale italiana di Geert Goiris a Palazzo De’ Toschi, l’edizione si annuncia memorabile. Credo che un programma collaterale di mostre di alto livello in città sia un ingrediente fondamentale per attirare collezionisti e operatori dell’arte, e mi rallegro che Bologna abbia tanto da offrire in questo senso. (Anzi, non ti nascondo che il livello delle ultime edizioni di Art City – merito anche di Lorenzo Balbi, che coordina la rassegna – ha giocato un ruolo importante nella mia scelta di accettare l’incarico di direttore della fiera: sapevo di poter contare su un background forte). Il programma per i collezionisti è altrettanto fondamentale. Nei limiti dei tempi molto ristretti con cui abbiamo dovuto misurarci, abbiamo messo insieme un programma VIP di tutto rispetto, mi pare.
Sei intervenuto anche sullo staff: ci dici come è composto?
La principale novità è costituita dall’arrivo di Gloria Bartoli nel ruolo di vicedirettrice. Gloria ha eccellenti capacità di programmazione e coordinamento, messe a punto in dieci anni di lavoro ad Artissima. Discuto ogni decisione con lei, e mi affido a lei per capire come metterla in pratica. Oltre a Gloria, vorrei citare almeno Alessandra Delvino, project manager la cui esperienza di Arte Fiera e delle sue dinamiche è indispensabile.
Arte Fiera si porta dietro una gloriosa tradizione e nel contempo i risultati altalenanti delle trascorse edizioni, seppur con direzioni eccellenti. In che cosa a tuo parere si è sbagliato?
Del passato non vorrei parlare; preferisco concentrarmi sul presente e sul futuro. In dialogo con la direzione commerciale, abbiamo tracciato un percorso di rinnovamento della cui efficacia sono convinto. Vorrei che si giudicasse questo, piuttosto che eventuali errori del passato.
Nel frattempo però il sistema delle fiere è diventato più competitivo. La piazza di Milano è diventata importantissima, Artissima ha consolidato la propria reputazione e anche Verona ha raggiunto con le ultime edizioni ottimi risultati, diventando un appuntamento da non mancare nell’agenda dell’arte. In questo quadro nazionale quale deve essere l’identità di Arte Fiera?
Quella di una fiera sempre più forte sull’arte moderna e postbellica, e che rilancerà la sua proposta sul contemporaneo di tendenza. Una fiera che saprà dotarsi di sezioni che costituiranno una specificità e un richiamo per gallerie e collezionisti. La fotografia è solo la prima.
In una recente intervista ad Artribune Lorenzo Balbi ha commentato: “Il più grande difetto (del Mambo, ndr) è Bologna: allo stesso modo cimentarsi in un contesto così esigente mette a dura prova ogni contenuto, progetto o iniziativa che si propone. L’abitudine alla frequentazione di eventi culturali, perseguita in decenni di proposte di altissimo livello, consente al pubblico di Bologna di essere anche intransigente e critico”. Hai paura di questo pubblico ipercritico? Come lo convincerai?
Il pubblico di Bologna vuole bene ad Arte Fiera, e vuole che sia sempre più bella e competitiva. Sono certo che giudicherà con indulgenza eventuali errori di percorso, o dovuti alla mancanza di tempo, e sosterrà il nostro progetto di rinnovamento. Questo, del resto, è il clima che abbiamo respirato in questi mesi.
-Santa Nastro
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