I 90 anni del pittore ed editore Ezio Gribaudo, il “Cristoforo Colombo dell’arte”. Intervista
Il Museo Nazionale del Risorgimento di Torino ha dedicato una grande festa e una mostra – che si terrà fino alla fine di febbraio – a Ezio Gribaudo, artista, editore, promotore culturale che lo scorso 10 gennaio ha spento 90 candeline. Lo abbiamo intervistato e ripercorso le tappe della sua carriera
Non è stata soltanto una festa di compleanno, ma un modo per celebrare uno dei più grandi pittori italiani nati nel Novecento. Lo scorso 10 gennaio a Torino, il Museo Nazionale del Risorgimento, è stato omaggiato in occasione dei suoi 90 anni Ezio Gribaudo (Torino, 1929), pittore, come già detto, e non solo: grafico, editore, promotore culturale, figura eclettica dotata di visione e di visioni che, tra gli anni Sessanta e Settanta, diede al capoluogo piemontese una sferzata di novità e soprattutto di internazionalità, portando in mostra la collezione di Peggy Guggenheim e Jean Dubuffet. Per non parlare poi dell’attività di editore: “mi hanno definito il ‘Cristoforo Colombo dell’arte’, infatti sono stato tra in primi ad andare in America con Fontana nel 1961 in veste di editore della sua prima monografia”, ci racconta Gribaudo nella lunga intervista rilasciataci in occasione del suo 90esimo compleanno. E non poteva mancare, naturalmente, un’ampia parentesi dedicata alla sua attività artistica: astrattismo e grafica, arte e tecnica, concetti e pratiche racchiuse in Logogrifi e Flani, le sue serie più celebri.
Pittore, grafico, editore, promotore culturale: come descriverebbe la sua lunga carriera nel mondo dell’arte?
La mia carriera si è sviluppata a partire dalle tecniche apprese all’interno dell’industria tipografica, rielaborate con il rigore degli studi di arte grafica dapprima imparati all’Accademia di Brera nel 1949 e successivamente alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino fino al 1952. È stato un lungo percorso a cavallo di due secoli, chi visita il mio studio trova opere che vanno dal 1946 ad oggi, ho sperimentato tecniche e materiali, dalla carta al bronzo, sono la memoria storica di un mondo che mi ha accompagnato dagli anni Cinquanta ad oggi.
Le andrebbe di ripercorrere con noi le tappe salienti della sua carriera? Quali sono i tratti che contraddistinguono la sua lunga ricerca artistica?
All’inizio avevo uno stile figurativo, ma presto sono passato all’astratto, ampliando le possibilità espressive con l’utilizzo di diversi materiali. Dalla fascinazione del bianco sono nati i Logogrifi e i Flani, realizzati con gli scarti della produzione di giornali e di testi editoriali. Queste matrici, impronte tipografiche su carta buvard prive di inchiostro e impresse a secco, mi hanno permesso di espandere creativamente il rapporto tra testo e immagine. Con i Logogrifi ho vinto il Premio Internazionale per la Grafica alla XXXIII Biennale di Venezia nel 1966. Tutti questi lavori racchiudono la coscienza di ciò che si intende per technè e arte, tradizione antica e modernità assoluta. Mi hanno definito il “Cristoforo Colombo dell’arte”, infatti sono stato tra in primi ad andare in America con Fontana nel 1961 in veste di editore della sua prima monografia.
Quali sono stati gli ingredienti e i punti di forza che le hanno permesso di realizzare i suoi progetti?
Il continuo confronto e la costante frequentazione dei protagonisti dell’arte del XX secolo ha rappresentato il miglior humus di crescita. I punti di forza sono sempre stati la curiosità, le intuizioni, la correttezza che ha caratterizzato il mio rapporto con il mondo dell’arte in Italia e all’estero.
La sua attività di promotore culturale a Torino ha attraversato-accompagnato la storia della città. Com’era Torino quando lei ha iniziato a portare avanti i suoi progetti?
All’arte contemporanea Torino ha dato molto producendo stagioni straordinarie che ho vissuto in prima persona. A Torino ho realizzato la maggior parte del mio lavoro artistico e ho portato avanti progetti editoriali riconosciuti a livello internazionale. Torino, comunque, non ha mai recuperato il primato culturale degli anni ‘60 e ’70, con le mostre storiche della Galleria d’Arte Moderna, ad esempio. Sono stato testimone di quegli anni facendo parte del comitato dei Musei Civici di Torino e in prima persona con le manifestazioni che hanno portato il gotha dell’arte internazionale da Hartung a Bacon, da Hofmann a Sutherland.
Ci ricorda alcuni dei suoi maggiori progetti realizzati in veste di editore?
Ho pubblicato i principali cataloghi delle mostre che si svolgevano a Torino, dal Barocco Piemontese a Moda Stile Costume collaborando con Vittorio Viale, Andreina Griseri, Mercedes Viale Ferrero, Luigi Mallè, Battista Pinin Farina. Erano gli anni della nascita dell’ICAR nel 1961, il cui promotore è stato Michel Tapiè, io lo conobbi l’anno prima, ho viaggiato con lui a Parigi e in Giappone e sono diventato l’editore dei suoi libri da Morphologie Autre, a Fontana, dalle avanguardie giapponesi all’Art Autre. Un progetto di cui sono orgoglioso è stata anche la pubblicazione del primo libro sul museo Egizio, stampato in rotocalco, venduto ad editori americani e giapponesi.
Torino è una città gogoliana, dove gli entusiasmi sono sempre sopiti, sono stato un uomo fortunato, la vita è fatta di incontri e io ho avuto l’opportunità di frequentare e lavorare con i protagonisti dell’arte contemporanea del XX secolo.
In particolare, negli anni Settanta ha portato in mostra a Torino la Collezione Guggenheim. Che ricordo ha di questa esposizione?
Nel 1976 mi riuscì un’impresa che fece guardare la città con invidia da tutta l’Italia. Ero in ottimi rapporti con Peggy Guggenheim fin dagli anni Sessanta, avendo curato il primo libro della sua collezione a Venezia. Con una sola telefonata di fronte a un incredulo consiglio direttivo per la programmazione dell’anno, la convinsi ad esporre la collezione alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino. La mostra risarcì l’iniziativa fallita nel 1949, quando Torino ritirò all’ultimo l’invito. Peggy Guggenheim menzionò questo evento nella sua autobiografia, Una vita per l’arte, inoltre acquisì dei miei Logogrifi e Flani che sono parte della sua Collezione permanente a Venezia.
Altre, invece, sono state le dinamiche che hanno portato, sempre in quegli anni, alla grande mostra di Jean Dubuffet…
Due anni dopo, nel 1978, curai la mostra-spettacolo di Jean Dubuffet alla Palazzina delle Belle Arti di Torino dal titolo Coucou Bazar. Fu durante una visita nello studio di Parigi di Dubuffet che ebbi l’idea che proposi a Gianni Agnelli, l’Avvocato era curioso e si appassionò subito al progetto. Lo spettacolo era già stato rappresentato nel 1973 sia al Guggenheim di New York sia al Grand Palais di Parigi. Lo sponsor dell’evento fu la FIAT, erano gli anni di piombo, tra il 1974 e il 1978.
La mostra e lo spettacolo ebbero un successo strepitoso, vennero da tutto il mondo, ci furono tre inaugurazioni, una per la famiglia Agnelli, una per la stampa, una per il pubblico. Rimasi in contatto con Dubuffet fino alla sua scomparsa, conservo una corrispondenza in cui ricorda con riconoscenza la riuscita dell’evento.
Che ricordo ha di quegli anni?
Ho un ricordo indelebile di questi eventi che hanno dato a Torino un’apertura internazionale e una posizione strategica nel panorama dell’arte moderna e contemporanea. La dimostrazione è che a distanza di 40 anni mi invitano ancora a parlare di Dubuffet: tra pochi giorni a Torino (24 gennaio all’Accademia Albertina), in occasione della mostra attuale in corso a Reggio Emilia per ripercorrere la nascita di Coucou Bazar.
Lo scorso dicembre è mancato il critico d’arte Enrico Crispolti, che in diverse occasioni ha scritto del suo lavoro. Come lo ricorda?
Ho conosciuto Enrico Crispolti fin dagli inizi del suo lavoro di critico d’arte, quando ancora studiava con Argan e Venturi. Era uno studioso del futurismo e ha scritto sul mio lavoro in diverse occasioni, Ezio Gribaudo. Il peso del concreto (1967), poi in Ezio Gribaudo e Lucio Fontana. Cronaca di un viaggio americano, (2011, Skira) e ha scritto la prefazione di Il mio teatro della memoria di Adriano Oliveri nel 2008 Skira. Crispolti aveva scritto su Fillia, Mino Rosso, Nicolay Diulgheroff, Pippo Oriani, Enrico Alimandi, Franco Costa nel libro Il secondo futurismo: 5 pittori + 1 scultore che avevo pubblicato nel 1962 per le Edizioni d’Arte Fratelli Pozzo.
– Desirée Maida
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