Incisione e arte contemporanea. Gianna e Maria Pina Bentivenga
Le sorelle Bentivenga, Gianna e Maria Pina, sono entrambe artiste. Le unisce la passione per l’incisione, e anche queste due domande capitali.
Quale pensi sia la posizione corrente, in Italia, dell’incisione rispetto al sistema dell’arte contemporanea?
Gianna Bentivenga: Risulta abbastanza difficile stabilire la posizione reale dell’incisione rispetto all’arte contemporanea, soprattutto in Italia. Questo perché l’Italia, nel suo conservatorismo, corre in maniera sempre meno veloce soprattutto rispetto ad altri Paesi europei, in cui il sentimento di innovazione e di adeguamento al contemporaneo risultano essere molto più fluidi e concreti. In Italia, fino a non molti anni fa, l’incisione era concepita in maniera strettamente legata al vecchio modo di fare incisione. Bianco e nero, poco colore, soprattutto risultava essere pura tecnica, e non espressione di un linguaggio a tutti gli effetti. Noto con sorpresa e piacere come negli ultimissimi tempi l’incisione si stia aprendo a nuove consapevolezze. Utilizzare questa forma di espressione per realizzare installazioni, attraverso ampie sperimentazioni, la sta portando a una vera trasformazione in senso più ampio: servirsi di una tecnica per esprimere un linguaggio altro e alto.
Maria Pina Bentivenga: Il mio personale pensiero rispetto all’incisione in questo periodo storico è sicuramente positivo e ritengo che sia un territorio dove è ancora possibile scoprire, sperimentare, raccontare. Contrariamente all’idea, purtroppo ancora molto diffusa in Italia, che l’incisione sia solo un foglio o un libro, quindi che la tecnica corrisponda esattamente con il prodotto finale, ritengo che esprimersi con l’incisione equivalga a esprimersi con qualsiasi altra tecnica che contribuisce alla determinazione del linguaggio di un artista. In Italia credo che con le nuove generazioni si vada nella giusta direzione, che è quella dell’apertura. Purtroppo credo anche che siamo ancora un po’ lontani dall’idea di Printmaking diffusa in altri Paesi.
Nell’età dell’iper-riproducibilità virtuale delle immagini, come interpreti l’ostinata ipo-riproducibilità manuale dell’incisione?
G. B.: Qualsiasi risposta alla domanda potrà risultare sinonimo di follia, ma ci provo. Noi incisori siamo visti come i nostalgici d’un tempo ormai morto, apparentemente sembriamo affetti da ostinata patologia ossessivo-compulsiva. Un lavoro che corre in senso contrario alla continua evoluzione tecnologica. Quello che forse mi sento di dire è che, in un momento storico in cui la riproducibilità delle immagini virtuali corre all’impazzata, senza freno e senza limiti, serve un tempo materiale per riflettere, soffermarsi su quello e quanto si vuole dire, in maniera autentica.
M. P. B.: Il rapporto incisione-riproduzione è stato sempre un tema caldo e, ad analizzarlo bene, forse mai a nostro servizio. Nel passato, l’alta possibilità di riproduzione di una matrice ne ha spesso svilito la qualità; oggi, il fatto che esista una possibilità di riproduzione più facile e veloce tende a rinnegarne il valore. Credo che nella stampa d’arte la riproducibilità non sia più il valore primario. Scalfire il metallo ha un valore in sé, che spesso si accompagna alla possibilità di riprodurre quei segni, o parte di essi, per sovrapporli a loro stessi o ad altre superfici, e tutto questo nulla ha a che vedere con la riproducibilità digitale.
‒ Luca Arnaudo
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #46
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