Italia 90. Intervista a Vedovamazzei
Proseguono le chiacchierate con gli artisti apparsi sulla scena creativa italiana negli Anni Novanta. Stavolta la parola va a Vedovamazzei, duo formato da Stella Scala e Simeone Crispino.
Siete arrivati a Milano da Napoli negli Anni Novanta. Cosa vi ha spinto a lasciare la vostra Napoli, così viva, con gallerie interessanti, per una città “sconosciuta”?
In realtà furono l’invito di Giacinto Di Pietrantonio alla grande collettiva Italia Arte 90, una sorta di censimento degli artisti giovani italiani presso la Fabbrica del Vapore a Milano, e la mostra personale da Orazio Goni, che negli Anni Novanta a Milano gestiva lo Spazio Fac-Simile, a spingerci verso il nord. In quegli anni a Napoli c’erano gallerie storiche come Lucio Amelio, Lia Rumma, tra le giovanissime iniziava Raucci Santamaria. Milano però non era affatto sconosciuta, conoscevamo le nuove gallerie d’arte contemporanea allora “emergenti” e oggi diventate solide e storiche.
A Milano con quali artisti siete entrati in contatto?
Dalle due personali da Fac-Simile, entrammo in sintonia con gli artisti della galleria: Gabriele Di Matteo, Vanessa Beecroft, Margherita Manzelli, Alessandro Pessoli, Maurizio Cattelan. Poi, con lo Studio Guenzani Stefano Arienti, Eva Marisaldi, Carsten Höller, Philippe Parreno, Rirkrit Tiravanija, Kcho, Mario Airò, Liliana Moro e tanti altri.
Come era Milano a quei tempi, e quali le differenze rispetto a Napoli?
Ricordiamo a Napoli, al Museo di Capodimonte, presidente Nicola Spinosa, una grande mostra in cui dialogavano Bruce Nauman e Tiziano. Napoli era la città che abitavi e le cose succedevano, entrando e uscendo passivamente nel mondo della storia dell’arte classica e contemporanea.
Milano invece era frenetica e frizzante, un contenitore in cui tu dovevi far qualcosa per partecipare attivamente.
Si potrebbe dire che il vostro segno di riconoscimento è la non riconoscibilità immediata di un vostro lavoro, nel senso che cambiate spesso, passando da pittura a video a installazioni… Lo fate per una necessità specifica?
L’amato collezionista Paolo Consolandi a una fiera disse: “Quando non sei sicuro di chi è l’opera che vedi, è certamente un Vedovamazzei!”. La prima mostra da Guenzani era molto scombinata, impersonale: ogni pezzo sembrava realizzato da un artista diverso. È stato un momento di svolta personale importante per noi, ma in generale per tutti gli artisti di quella generazione. In realtà, quella prima personale non era composta da pezzi diversi, ma da tanti punti di vista della stessa opera, citando Jean de Loisy, quando ci invitò alla prima Biennale in Corea.
Avete invece un medium o una tecnica che prediligete?
Per dialogare tra di noi e per prendere appunti per un futuro progetto o anche soltanto preparatorio a un’opera a olio, prediligiamo l’acquerello, tecnica immediata e complessa, ma comprensibile e affascinante. Stiamo pensando di raccogliere i tanti acquerelli accumulati in questi ultimi anni e pubblicare un secondo e terzo volume di The Natural History of Vedovamazzei.
Tra i vostri lavori ce n’è uno che considerate più iconico/rappresentativo della vostra poetica?
Proprio per l’attitudine a cambiare spesso tecnica e stile, non abbiamo un’opera più rappresentativa della nostra poetica, bensì opere iconiche all’interno di cicli divisi tra generi e tematiche.
Lavorate da sempre in coppia, come nasce quindi un vostro lavoro?
Le idee in una coppia non funzionano fino in fondo, nel senso che sono già sporche, arrivano che sono indolenzite. La cosa da fare è presentare all’altro un lavoro finito per dirgli poi che lo aveva pensato lui o lei e tu lo hai soltanto realizzato. Se ci crede, è fatta.
Avete mai pensato di lavorare separatamente?
Sempre, ma è impossibile.
‒ Arianna Rosica
Italia 90 #1 ‒ Marcello Maloberti
Italia 90 #2 ‒ Paolo Canevari
Italia 90 #3 ‒ Liliana Moro
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