Gli artisti e la strada. A Roma
Il Museo Maxxi di Roma dedica un focus alla prospettiva degli artisti sul tema della strada. Fra azione politica, protesta, inurbamento e futuro.
Per secoli la strada è stata l’unico punto d’incontro fra popolo, intellettuali e potere. Incontro (e scontro naturalmente) e luogo effimero di creatività, contrasto, protesta, sfogo, divertimento, fuga, scoperta, perdita di sé, morte. E naturalmente luogo della comunicazione e del movimento cittadino, come analizza Walter Benjamin nel suo libro su Parigi. Tutte queste componenti fanno sì che la mostra, nella sua descrizione della Strada contemporanea, chiami a testimoniare tutti i linguaggi, dalla politica all’architettura, dalle arti visive alla sociologia.
Intellettuali e artisti si collocano decisamente in questo spazio nevralgico della vita contemporanea. Baudelaire praticava e predicava la figura del “perdigiorno” cittadino, il “flâneur”, come figura moderna dell’intellettuale non legato all’Accademia che costruisce i suoi pensieri sulla realtà viva della città. E gli intellettuali la praticheranno vivendo e lavorando nei caffè, proiezione della casa nella città e nella strada, come dice Marc Augé. Strade come i boulevard ottocenteschi a Parigi vengono disegnati per il controllo razionale del tessuto urbano in caso di rivolte (a cui Delacroix e Courbet parteciparono). Ma questo non impedirà ai giovani del Maggio ‘68 di utilizzarle un secolo dopo come passaggio di cortei e spazio di barricate per la resistenza alla repressione statale.
GLI ARTISTI
Questa è la storia che viene affrontata nella mostra “monstre” al Maxxi curata da Hou Hanru, su gran parte del primo piano, favorita dall’andamento sinuoso e orizzontale del museo. Duecento artisti, di ogni tipologia, rappresentano queste istanze in un susseguirsi vorticoso di immagini. Movimenti urbani e resistenze sociali sono descritti anche nell’invenzione di strutture ibride fra il trasporto e il dispositivo da protesta: tricicli/megafoni, bombe molotov, strumenti d’assalto, slogan, manifesti, graffiti, e, vera o metaforica, guerriglia. Tutto è raccontato in questa turbolenta mostra che attraversa esattamente come una strada il Ventesimo secolo e si affaccia al Ventunesimo. Divisa in sezioni ‒ Mapping, Interventions, Street Politics, Everyday Life, Good Design, Community, Open Istitutions ‒, la rassegna si sviluppa su mille stimoli diversi. Gli Anni Sessanta e Settanta sono un punto di riferimento quando innumerevoli movimenti politici, dai diritti civili al femminismo, riempiono le strade con manifestazioni irrequiete e creative di nuove forme comunicative pubbliche. Oggi le strade della città sono un labirinto nel video di Daniel Crooks, il quale monta una serie di visioni frontali di strade diverse, che scorrono come paesaggi congelati di un’unica metropoli. Allora & Calzadilla usano una tromba come tubo di scappamento, Halil Altindere dipinge d’oro delle telecamere di sorveglianza stradale. In un video Lin Yilin monta a mano dei muri effimeri che sbarrano la strada, salvo smontarli appena compiuti, azione che allude alla vertiginosa attività costruttiva in atto nella Nuova Cina industrializzata, attività che ha determinato, fra l’altro, l’inurbamento di milioni di cinesi e la scomparsa dei centri storici.
Le foto di Ugo La Pietra ironizzano sull’impossibilità di modificare la città contemporanea invitando il pubblico a modificarsi sul modello della realtà. La cinese Cao Fei realizza in 3D una città modello popolata dagli avatar. Ma più tardi utilizza la cultura hip hop per creare situazioni innovative facendo cantare rap nelle strade a donne vestite in costumi tradizionali. La polizia cinese è rappresentata in un fumetto da Chen Shaoxiong in momenti di violente manifestazioni, così come Chto Delat fotografa degli “Angry Sandwich People” dove la protesta ha preso il posto della promozione citando una poesia di Brecht: “Di chi è la colpa se l’oppressione rimane?”. Una strada ricoperta d’immondizia si svuota e riempie in loop nel video di Cinthia Marcelle e Tiago Mata Machado (stranamente non è Roma). Marinella Senatore presenta dei collage dove riemergono immagini iconiche delle proteste degli anni Sessanta e Settanta: un giovane lancia un libro come una bomba molotov, donne con striscioni protestano. Flavio Favelli affida la descrizione della strada alle insegne luminose dei servizi (economico il bancomat, motorio la pompa di benzina).
TRA STORIA E MANIFESTO
Una strada ha molti punti diversi, attraversamenti, interruzioni, deviazioni, e la mostra usa a volte l’ironia, come nelle foto di Robert Venturi che ritraggono l’insensato paesaggio delle strade di Las Vegas. Ma può diventare drammatica come i disegni di Rirkrit Tiravanija, che anni fa cucinava cibo e lo offriva al pubblico in lavori “relazionali” e oggi fa disegni volutamente rozzi in cui ricalca le foto di “Black Lives Matter” o le proteste di “Occupy Wall Street”. Sugli stessi temi Kendell Geers monta in forma di stella le luci lampeggianti delle macchine della polizia. E Sam Durant presenta un’ironica Proposal for a public fountain, ma il modello mostra un’autobotte a idrante che spara acqua su un dimostrante.
Il video, con la sua capacità documentativa e narrativa, è il protagonista centrale della mostra insieme alla fotografia e a disegni che rinviano alla stampa attivista e naturalmente ad azioni che si svolgono nelle strade cittadine. La mostra assume anche un carattere misto fra Storia e Manifesto, fra esortazione e sogno progettuale (l’architettura) e la realtà si presenta gravida di pericoli e di ritorni storici, essendo insieme una realtà locale e globale in cui ogni perturbazione è ormai diretta a tutti, come un’infosfera nevrotica e ipersensibile. Come il “Pallone Mondo” che Francis Alys in un video si ostina a prendere a calci. Si ostina, ma il pallone è in fiamme e non sappiamo cosa possa accadere.
‒ Lorenzo Taiuti
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