Stefano Arienti presenta T-Essere, il progetto per Cooperativa Sociale Società Dolce
A Bologna, la mostra partecipativa di Stefano Arienti per Cooperativa Sociale Società Dolce, in un progetto a cura di Giuseppe Stampone. Pubblichiamo il dialogo di accompagnamento al progetto.
Inaugura il 1 febbraio la mostra di Stefano Arienti per Cooperativa Sociale Società Dolce. Si tratta di una mostra partecipativa che è stata preceduta da una fase laboratoriale che ha coinvolto i soci della cooperativa, un’azienda con più di 3mila dipendenti – tra le più antiche cooperative dell’Emilia Romagna – che si occupa di formazione, migrazione, tematiche legate al sociale. Il progetto è nato nel 2017 con il lavoro collettivo intitolato Saldi d’artista, realizzato da Giuseppe Stampone e presentato sempre nell’ambito di Arte Fiera Bologna. Nel 2018, Stampone ha invitato l’artista Eugenio Tibaldi che ha realizzato il progetto Inclusio. L’inclusione attraverso l’arte e la cooperazione. Nel 2019 tocca a Stefano Arienti che ci ha spiegato come è nato e come si svilupperà il progetto T-Essere.
Come nasce il lavoro che hai realizzato per Cooperativa Sociale Società Dolce?
Nasce all’interno del progetto a cura di Giuseppe Stampone per Società Dolce. Ogni anno viene scelto un artista che voglia di interagire con la Cooperativa negli spazi di lavoro. In questo caso abbiamo realizzato non un’opera in studio, quindi, ma un vero e proprio laboratorio con i Soci. Ho proposto di partire dal logo di Società Dolce, composto dalle tessere di un puzzle, e di rivisitarlo in una sorta di collage collettivo. Le opere sono state realizzate da loro sulla base di immagini di propria scelta su cui poi ho indirizzato la produzione delle opere.
Che genere di immagini?
Immagini digitali, realizzate durante i viaggi, scattate a casa, in momenti di lavoro o privati. Prima di cominciare ho mostrato ai partecipanti le foto che scatto io normalmente per le mie opere e ho chiesto loro di offrirne di proprie. Successivamente c’è stato un lavoro di selezione ed è stato interessante condividere insieme i rispettivi immaginari e capire cosa ci sembrava, attraverso una discussione aperta, più interessante.
Come hai condotto il laboratorio?
Ho per esempio dato l’indicazione di scegliere immagini che avessero voglia di guardare…
E cosa ti ha colpito maggiormente?
C’erano delle immagini complesse, ambigue e controverse che non abbiamo scelto anche se erano belle e interessanti, ma il gruppo di lavoro ha preferito cose più immediate e semplici e questo mi è piaciuto. Ho rispettato la loro decisione senza forzare la mano. Ho scelto questa medietà che deriva dal fatto che il nostro è uno spazio condiviso e non del singolo.
La partecipazione è una pratica che utilizzi spesso nel tuo lavoro?
Non spessissimo, mi capita di condurre dei progetti affini negli spazi didattici talvolta, ma è una cosa che trovo molto stimolante. Qui ho trovato persone molto equilibrate, rispettose, curiose, che hanno avuto voglia di sperimentare insieme a me. Ad esempio mi ha sorpreso molto la velocità e la bravura del gruppo nell’apprendere la tecnica. Il progetto ha funzionato, credo, anche perché prima di aprire la discussione, abbiamo lavorato e approfondito insieme le potenzialità della tecnica. Ma ho potuto fare tutto questo perché si era già innescato nel gruppo il desiderio di lavorare sulle proprie immagini. È stato l’elemento chiave, che ha prodotto una perfetta sintonia. Tanto che ho proposto ai soci di co-firmare insieme a loro le opere di cui mi considero co-autore.
Il tuo percorso parte in maniera molto originale, dal momento che non hai fatto studi d’arte: che rapporto ha la tua pratica artistica con il mondo del lavoro?
Ho sempre avuto a che fare con il mondo del lavoro, dal momento che ha sempre fatto parte della mia vita. Vengo da una famiglia contadina e nella mia vita ho fatto il bracciante e mille altri lavori. È un mondo che rispetto molto e che ha una sua etica molto forte, che richiede responsabilità in quello che si fa. Nell’arte è una cosa che spesso si perde, nascosta dietro ego molto forti.
In che cosa il tuo progetto assomiglia o differisce da quelli precedentemente presentati?
C’è in tutti il senso della condivisione. Ma a prescindere credo che quello che fa davvero la differenza nel percorso avviato da Società Dolce è la committenza di qualità, in grado di creare partecipazione e interazione: questo non sempre c’è quando si lavora per un committente.
–Santa Nastro
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