3 gallerie insieme per un unico progetto: Tiziana Di Caro, Federica Schiavo, Norma Mangione
L’unione fa la forza? Tre galleriste pensano di sì. E inaugurano insieme il progetto “Qui dove ci incontriamo”, un format itinerante a spasso per l’Italia. Perché o le gallerie si ripensano o, come abbiamo spiegato nel nuovo numero del nostro Magazine, faranno enorme fatica a sopravvivere.
Si chiama Qui dove ci incontriamo il progetto che ha unito tre donne, tre galleriste, in un’unica mostra che ha inaugurato a Torino, Milano, Napoli. Nord e Sud insieme in una tripletta espositiva che ha coinvolto artisti come Salvatore Arancio, Betty Danon, Shadi Harouni, Jay Heikes, Stefanie Popp, Ruth Proctor negli spazi di Tiziana Di Caro, Norma Mangione, Federica Schiavo, che hanno ideato il tutto con Chiara Zoppelli. Ciascuna gallerista ha ospitato e allestito (e venduto) gli artisti delle altre, uscendo in questa maniera dalla propria comfort zone. Queste quattro partners in crime si sono ispirate al libro di John Berger, dal quale hanno mutuato il titolo, racconti itineranti a spasso per l’Europa toccando le città di Madrid, Cracovia, Lisbona, Ginevra, Londra. Le tre galleriste invece offrono l’esperienza di un “viaggio in Italia” che ha portato con altrettante inaugurazioni consecutive (e fino al 16 marzo) i visitatori a scoprire il lavoro di Shadi Harouni (Hamedan, Iran, 1985) e Jay Heikes (Princeton, Stati Uniti, 1975) da Norma, Betty Danon (Istanbul, Turchia, 1927) e Ruth Proctor (Inghilterra, 1980) da Federica e, infine, Salvatore Arancio (Catania, Italia, 1974) e Stefanie Popp (Bonn, Germania, 1974) da Tiziana Di Caro. La forza del progetto sta nelle modalità espositive: ognuna di loro – con un format che ricorda esperimenti fieristici di cui Artribune ha spesso parlato come CONDO, la manifestazione condominiale delle gallerie per le gallerie – ha presentato gli artisti dell’altra in una sorta di tetris, aprendo ai propri contatti e collezionisti nuove opportunità. Una messa a sistema delle risorse, generosa e intelligente, ma anche molto molto strategica. Abbiamo chiesto alle protagoniste di spiegarci meglio.
Come nasce il progetto “Qui dove ci incontriamo”?
Nasce dall’esigenza di confrontarsi su territori diversi da quelli in cui ognuna di noi si impegna quotidianamente. Nasce inoltre dalla voglia di diversificare il nostro programma con incursioni di artisti con cui abitualmente non lavoriamo. Qui, dove ci incontriamo è anche la conseguenza di una sincera stima reciproca.
Quali necessità ed esperienze pregresse vi hanno portato a collaborare insieme?
Questa collaborazione è stata la conseguenza della voglia di mostrare i nostri artisti in città differenti da quelle in cui lavoriamo, ma in un contesto diverso da quello della fiera. Non volevamo affatto mettere in discussione il “modello fiera”, piuttosto ci interessava creare un’alternativa che preservasse l’idea della migrazione, senza incidere sul “modello galleria”, in piena libertà di scegliere come, dove e con chi farlo.
Partendo dall’attuale situazione di mercato, l’unione fa la forza?
Abbiamo appena inaugurato la terza e ultima tappa di Qui, dove ci incontriamo. L’unione fa sicuramente la forza in termini umani e intellettuali; è ancora troppo presto fare una stima di quanto sia conveniente in termini economici.
Le gallerie sentono sempre di più la necessità di sperimentare nuovi formati: perché secondo voi restare a “casa propria” non è più possibile?
Chi dice che non è più possibile? Ad ogni modo, le persone viaggiano sempre più spesso e anche più facilmente, è importante che anche il lavoro, nel caso specifico quello della galleria, assecondi questa velocità e questi movimenti.
Come vi confrontate invece con il tema delle fiere?
Siamo tutte e tre ad Artefiera a Bologna, sicure del fatto che alle proposte di novità e cambiamento bisogna rispondere positivamente. Le fiere sono uno strumento fondamentale per farsi conoscere, per avere più e diverse possibilità di vendita. Sarebbe bello se ognuno dei segmenti che compongono il mondo e il mercato dell’arte fosse considerato con lucidità per quello che è senza confondere, per esempio, lo stand di una fiera con quello che può essere il programma di mostre della galleria.
–Santa Nastro
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