Continua il processo per l’eredità di Robert Indiana. Nuove prove incastrerebbero gli assistenti

Una serie di sms incastrerebbero l’assistente e l’editore del celebre artista, accusati dalla fondazione che detiene il marchio di LOVE di aver manipolato Indiana a fini testamentari…

Proseguono le vicissitudini processuali che vedono protagonista Robert Indiana (New Castle, Indiana, 1928 – Vinalhaven, Maine, 2018), tra i più iconici e rappresentativi autori della Pop Art. Dopo la morte dell’artista, avvenuta lo scorso anno a maggio, le volontà testamentarie di Indiana sono diventate oggetto di un’inchiesta da parte del Procuratore Generale del Maine, per via della denuncia mossa dalla Morgan Art Foundation (MAF) – fondazione che detiene il marchio di LOVE, l’opera più celebre dell’artista – contro l’assistente di Indiana, incolpandolo di aver manipolato l’anziano artista a fini testamentari. Accusa che sembrerebbe essere confermata dalle ultime prove emerse durante il processo: messaggi di testo che incriminerebbero l’assistente di Indiana e anche il suo editore.

LA VICENDA

Tutto quindi partirebbe dalle volontà testamentarie di Indiana: subito dopo la morte dell’artista, l’ufficio del Procuratore Generale del Maine ha annunciato che avrebbe monitorato il caso, che ha avuto la sua prima udienza preprocessuale in un tribunale distrettuale di Manhattan lo scorso luglio. L’avvocato che rappresenta il patrimonio di Indiana, la cui stima si aggirerebbe sui 50 milioni di dollari, avrebbe cercato documenti per determinare l’entità dei beni dell’artista, sulla base del “ragionevole sospetto” che alcuni di questi beni “potrebbero essere stati trasferiti altrove o altrimenti sottratti o venduti senza il dovuto risarcimento”. Ma da dove giungerebbe tale sospetto? Come già accennato, a maggio la Morgan Art Foundation ha intentato una causa a New York contro l’assistente di Indiana, Jamie Thomas, e un editore d’arte, Michael McKenzie. MAF affermava che la coppia ha sfruttato Indiana verso la fine della sua vita, producendo opere dubbie a suo nome e isolandolo dagli amici. Ma soprattutto, la fondazione mette in discussione una presunta volontà dell’artista, secondo la quale Thomas avrebbe dovuto ricoprire l’incarico di direttore del museo che Indiana intendeva fondare nella sua casa sull’isola di Vinalhaven. Direzione che però, secondo l’avvocato della MAF, Thomas non sarebbe in grado di assumere perché non qualificato.

I MESSAGGI COME PROVA

I sospetti e le accuse della Morgan Art Foundation pare abbiano ricevuto conferma dalle prove emerse durante il processo svoltosi nei giorni scorsi. Messaggi di testo scambiati tra Jamie Thomas e Michael McKenzie infatti sembrerebbero confermare i dubbi sull’autenticità di molte opere di Indiana: a essere sotto accusa, le sculture a caratteri cubitali delle parole WINE, che è apparsa sulla copertina della rivista Wine Enthusiast, e BRAT, che McKenzie ha venduto a un produttore di salsicce nel Wisconsin. Ed è proprio quest’ultima opera che l’MAF considera tra i progetti più dannosi per la reputazione dell’artista. A questi messaggi, se ne sarebbero aggiunti altri in cui Thomas e McKenzie discutono di effettuare le stesse operazioni con le parole HOME e BEER, per citarne solo alcune. McKenzie però, in un precedente processo, ha dichiarato che Indiana abbia incassato i profitti delle ultime opere vendute e che tutte le opere siano state stampate con la sua approvazione, sperando di raccogliere fondi per trasformare la sua casa nel Maine in museo. Museo che, stando al testamento di Indiana, dovrebbe essere diretto, guarda caso, proprio da Thomas.

–  Desirée Maida

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Desirée Maida

Desirée Maida

Desirée Maida (Palermo, 1985) ha studiato presso l’Università degli Studi di Palermo, dove nel 2012 ha conseguito la laurea specialistica in Storia dell’Arte. Palermitana doc, appassionata di alchimia e cultura giapponese, approda al mondo dell’arte contemporanea dopo aver condotto studi…

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