Gli artisti e la ceramica. Intervista a Francesco Simeti
Nuovo appuntamento con la rubrica dedicata al legame tra gli artisti e la ceramica.
Francesco Simeti (Palermo, 1968), vive a Brooklyn, dove ha iniziato anche a conoscere la materia ceramica che da anni inserisce all’interno delle proprie installazioni. Nell’ultimo anno ha realizzato diverse ceramiche a Montelupo (all’interno del progetto MateriaMontelupo, a cura di Matteo Zauli) e dal contatto con la tradizione italiana ha deciso di avviare una nuova progettualità e pratica. Lo abbiamo incontrato per capire come la terra interagisca con la sua ricerca, perché ha scelto di utilizzarla e come vede il suo immediato “futuro ceramico”.
L’obiettivo della residenza di Montelupo era quello di realizzare nuove opere, lasciando però al tempo stesso un’eredità a una bottega locale. Come si sono uniti questi due obiettivi all’interno della tua ricerca?
Se riesci a porti in maniera aperta, lavorare con delle maestranze come quelle di Montelupo ti dà un arricchimento tecnico ineguagliabile, che si traduce in uno scatto in avanti del tuo repertorio linguistico. L’esperienza di Montelupo mi ha permesso di realizzare una serie di lavori nuovi che fanno tesoro delle tecniche degli artigiani e allo stesso tempo di lasciare in eredità alla bottega delle nuove cifre stilistiche che rientrano comunque nella loro capacità produttiva. Durante la residenza ho lavorato con due aziende distinte, Sergio Pilastri e Tuscany Art. Con Sergio, titolare di una bottega di decorazione di maioliche, il primo passo è stato individuare alcuni elementi decorativi della tradizione storica montelupina. Decorazioni per piatti e vettovaglie che venivano disegnate con una forte idea di centralità e che io invece ho scardinato e riassemblato in maniera asimmetrica. Operazione che, se vogliamo, ha sempre fatto parte del mio lavoro di collage nella produzione di wallpaper e tessuti.
E con Tuscany Art?
Con Luca Vanni della Tuscany Art ho cercato di introdurre questa idea del collage o assemblaggio all’interno della scultura. La Tuscany possiede infatti un vasto magazzino di calchi in gesso per la realizzazione di statue e orci da giardino. Sono stato immediatamente colpito dalla bellezza di certe porzioni delle sculture classicheggianti. In particolare i drappeggi, che negli stampi in negativo perdono la morbidezza e fluidità del panneggio per diventare aspri e incisivi. Proprio a partire dalle forme in negativo, con Luca stiamo adesso lavorando alla realizzazione di moduli coi quali poter rivestire un’intera parete o per un fregio continuo che possano essere messi in produzione dall’azienda.
Trovo molto interessante come, nel caso della decorazione, tu abbia deciso di ripartire dalla tradizione per poi negarla in opere in cui diversi elementi convivono molto liberamente.
Penso sia imprescindibile fare i conti con la storia e la tradizione e usarle come punti di partenza per poi introdurre delle trasformazioni. È un processo simile a quello che accade imparando una lingua, la apprendi e poi la pieghi, la modelli e la rendi tua, la assimili fino a farla diventare un tuo alfabeto personale che diventa a sua volta strumento per impararne un’altra ancora.
Vorrei chiederti di come hai iniziato a usare la ceramica negli Stati Uniti, come è arrivata questa scelta?
Il mio rapporto con la ceramica è iniziato come un antidoto alle lunghe ore di lavoro passate al computer in fase di progettazione ed elaborazione dei miei wallpaper. Essenzialmente un modo di tornare a sporcarmi le mani e lavorare in maniera più spontanea e fresca. Quasi come se fossi alla ricerca di un hobby, mi sono iscritto a un corso di ceramica serale, ma forse più propriamente fu un ritorno alla scultura che avevo studiato in accademia. Nel 2013 Francesca Minini mi propose di integrare le ceramiche alle mie installazioni e presentarle ad Art Basel Miami. Per quell’installazione avevo studiato un tavolo che fungeva da base per una serie di foglie in ceramica e grafite, Swamp Floor, e un gruppo di ceramiche mimetizzate su un wallpaper che si svelavano solo a uno sguardo più attento.
I lavori di questo primo periodo erano tendenzialmente decorati a freddo o monocromi.
Poco dopo ho iniziato a cuocere in un forno anagama, dove la cottura a legna è assolutamente imprevedibile e porta delle ampie variazioni di colore e texture, assecondando allo stesso tempo l’idea dell’accidente. Adesso vorrei approfondire l’uso della decorazione in seconda e terza cottura e degli smalti in genere.
E come mai senti l’esigenza di passare alla decorazione a fuoco?
Forse per via della mia formazione in scultura, sono sempre stato più a mio agio con il modellato e la creazione di forme e volumi e i monocromi e le finiture opache mi hanno sempre soddisfatto. Non ho mai realmente esplorato il mondo del colore e degli smalti e l’unica volta che ho adoperato uno smalto lucido nero ho finito per buttare il pezzo dentro la sabbiatrice e l’ho reso completamente opaco. Adesso però è arrivato il momento di cambiare.
E non ti sentiresti di affidare questa fase a un artigiano?
Amo lavorare nel mio studio con il mio forno e vorrei spingere i miei limiti e sperimentare in prima persona. Allo stesso tempo la collaborazione è una modalità che mi si addice e sono aperto a nuove esperienze, come quella fatta con Sergio Pilastri a Montelupo. Lavorare a fianco di un artigiano ti consente di padroneggiare una tecnica in maniera accelerata e ti apre delle strade nuove e inaspettate. Vorrei anche lavorare in dimensioni grandi. In fondo i miei progetti hanno spesso una forte dimensione spaziale e installativa che al momento manca nelle mie ceramiche, e per ottenere delle grandi dimensioni la collaborazione con un artigiano diventa necessaria.
Quindi i tuoi prossimi progetti li vedi in ceramica?
Porto avanti diversi progetti su diversi fronti e, anche se non posso definirmi un ceramista, voglio comunque sviluppare i progetti cominciati a Montelupo soprattutto rispetto alle grandi dimensioni. È stato alla Tuscany che ho imparato a utilizzare una forma preesistente come se fosse un’armatura e da quell’esperienza nasce Uncinata, il progetto sviluppato e attualmente in mostra al Museo Carlo Zauli di Faenza. Si tratta di un paio di sculture in terra nera costruite a partire da cilindri fatti al tornio su cui sono state applicate delle foglie da me modellate e altre ottenute da stampi preesistenti, realizzati da diversi artigiani locali unendo dunque delle cifre stilistiche diverse. Uncinata pone le prime basi per un progetto che ha l’intento di raccogliere, preservare e rendere fruibili frammenti di tradizione ceramica, al di là delle specificità geografiche, in un unico collage-installazione ceramico che forse chiude il cerchio e si collega al resto della mia ricerca.
‒ Irene Biolchini
Gli artisti e la ceramica #1 ‒ Salvatore Arancio
Gli artisti e la ceramica #2 ‒ Alessandro Pessoli
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