Lo stato dei sensi. Otto artiste a Reggio Emilia
Palazzo da Mosto, Reggio Emilia ‒ fino al 3 marzo 2019. Otto storie per otto viaggi diversi. Otto artiste italiane che, ispirandosi all'outsider art di Dubuffet, raccontano la loro rielaborazione di oggetti presi dal quotidiano.
I nostri sensi ci interrogano ogni giorno all’interno del fluire della vita. Attraverso una mostra collettiva al femminile, ideata da Marina Dacci, corredata di una pubblicazione degli Ori che contiene i progetti delle opere in mostra, si è voluto coniugare all’arte di Dubuffet l’aspetto del contemporaneo che intende scardinare il tempo e lo spazio.
Otto artiste radicalmente italiane ma che hanno fatto esperienza all’estero si pongono come un viatico per un percorso cognitivo e allo stesso tempo esplorativo.
L’esposizione rispetta l’individualità di ciascuna, pur nel solco della collettività, veicolando un preciso messaggio. La vita materiale si esprime attraverso passaggi di senso, oggetti riconosciuti che si trasformano e processi evolutivi che rimandano a tragitti dell’anima.
LE ARTISTE
Chiara Camoni, nell’installazione Fiume. Bosco e giardino. Tempo, riattiva i nostri sensi attraverso gli elementi naturali incontrati camminando, usando disegni a matita, pezzi di marmo e stampe vegetali. Alice Cattaneo, nel suo progetto Unico raccogliersi nei luoghi della valle, utilizza la scultura per parlare di processi che vanno dall’inizio dello stato in essere alla trasformazione della visione. L’esercizio del lontano di Elena El Asmar utilizza invece oggetti della quotidianità, che fanno parte di un immaginario domestico, vicino e ordinario ma spesso sorprendente, nel creare paesaggi e visioni della memoria, mentre Claudia Losi parla del corpo come un albero che va a racchiudere tutto un mondo (Quel che dice la mia forma). Serena Fineschi utilizza la gomma da masticare americana come agente sulla materia (Del sublime difetto) e ricordi dell’infanzia per ricreare un vissuto che gioca sulla resistenza e sull’ineffabilità. Ludovica Gioscia stratifica e accumula residui psichici facendoli rivivere con cartapesta e tessuto (psychic residue), con enormi teleri che pendono dal soffitto. Loredana Longo si affida invece a un’ipotetica distruzione estetica, con il recupero di oggetti a cui ridona una sorta di riscatto al femminile (float like a butterfly, sting like a bee) mentre Sabrina Mezzaqui, da sempre attenta al progetto-libro, utilizza la carta e gli inchiostri uniti a lane e stoffe per costruire un’installazione, Disciplina dell’attenzione, che va a raccontare la lentezza e la ripetizione del gesto.
‒ Francesca Baboni
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