Mid size gallery. Parla Raffaella De Chirico
Un’attenzione particolare per la fotografia e uno sguardo rivolto – dalla casa madre di Torino – alla scena messicana, con la costante presenza a Zona Maco, nelle sue versioni di fiera tradizionale e di rassegna dedicata proprio alla fotografia. Con la sua galleria, Raffaella De Chirico ha partecipato a numerose altre fiere sin dalla sua fondazione nel 2011. Però ora la scelta è di fare una pausa di riflessione. Che non significa chiudere la galleria ma…
Da circa dieci anni il mondo, compreso chiaramente quello dell’arte, si trova ad affrontare una crisi economica globale che ha coinvolto più o meno tutti. Contemporaneamente, forse anche per carenza di mezzi economici, il mondo ha iniziato a “splendere” in modo virtuale attraverso i social network, a costo quasi zero, in un delirio crescente di ricerca di visibilità per se stessi e per servizi e prodotti offerti. I “collezionisti” o aspiranti tali, poi, possono sentirsi parte di un sistema che fa “figo” attraverso una telefonata, un’email, un pomeriggio libero da passare in una casa d’aste o in galleria. Si iscrivono ai forum, si fanno un abbonamento ad Artnet et voilà – ecco 58 milioni di mercanti d’arte.
Le case d’asta hanno compreso che sono molti quelli che vogliono disfarsi di lavori acquistati in passato e hanno costruito aste in cui inserire un segmento medio-basso in cui chi vende è contento perché realizza liquidità e chi compra può fare buoni affari. E poi si è capito che le numerose operazioni di “repêchage” di artisti straordinari e con un buon CV “abbandonati” dal mercato fa guadagnare soldi.
Noi galleristi abbiamo subìto tutto questo, ma siamo anche in parte responsabili di questo tracollo. Pur di vendere, abbiamo assecondato la follia di domande continue tipo: “Salirà?”, “Scenderà?”, anziché porre la nostra ricerca e soprattutto competenza ed esperienza al centro della compravendita. Nei momenti più bui abbiamo pensato che forse Instagram e Facebook fossero la soluzione, la vetrina adatta, pensando che un hashtag sostituisse anni di studio. Abbiamo mandato quadri in asta a quattro soldi facendo registrare record negativi ad artisti trattati da noi (dei geni!), ci siamo fatti trattare come degli scolaretti imberbi dai direttori delle fiere, facendoci umiliare a suon di migliaia di euro e facendoci dire cosa fare per essere “in” (migliaia di euro pagati da noi: il teatro di Beckett è meno assurdo). Abbiamo tenuto la gente in stage per mesi, non pagandola, promettendo esperienza e visibilità. Questo sistema è totalmente al collasso. Abbiamo consegnato la vittoria ai nerd del mondo.
COMUNICAZIONE VS CRISI
Personalmente sto recentemente cercando di fare fronte alla crisi economica non più combattendola come una guerra personale, ma comunicando con chi parla il mio linguaggio. Spesso i miei colleghi galleristi. Facendo rete. Scambiandoci i collezionisti, se occorre. Tra persone per bene si può fare. Riprendendo il tempo di cercare e comunicare il mio programma a ogni singolo, potenziale contatto. E non via Instagram, ma attraverso la mia esperienza di tanti anni e i miei risultati. Facendo insieme delle strategie. Le gallerie non vengono più frequentate? Perfetto, è un’occasione di cambiamento, non un’ulteriore motivazione per lamentarmi. Riduco l’orario e mi riprendo la libertà di lavorare come più mi piace e come effettivamente occorre al nostro lavoro. La mia assistente può lavorare da casa, senza l’assalto degli artisti che vogliono proporre il loro lavoro: perderà certamente meno tempo. Non vendiamo pezzi di ricambio d’auto, è il nostro approccio che deve cambiare. Utilizzo lo spazio a mio uso e consumo, lo aggredisco io e non lo tratto con timore reverenziale. Lo uso, lo stordisco, lo aggredisco, gli faccio fare ciò che dico io. Lo faccio vivere e non attraverso la frigidità di una mostra davanti alla quale fingere una sindrome di Stendhal da vuoto cosmico, ma se vuoi anche attraverso una galleria incasinata, dove se c’è “disordine” significa che una visita dura ore e si mostrano i pezzi che si hanno. Si dialoga. E si vende. Che se qualcuno se lo fosse dimenticato, è la benzina di tutto.
Ho fatto fiere in mezzo mondo? Perfetto, ho almeno dieci case di collezionisti sparse per il globo in cui poter unire le forze e creare degli eventi. I nostri interlocutori sono spesso persone che a loro volta, per i loro lavori, sono stati dei visionari. Sia gli artisti che i collezionisti e – perché no? – a volte anche i critici d’arte, quando si tolgono una immotivata puzza sotto il naso (immotivata perché è troppo facile essere militanti quando non si mette mano al portafogli). Cerchiamo un dialogo con esseri umani illuminati, ce ne sono tantissimi. Anziché comportarci da disperati e cedere alle speranze di qualcuno che ci chiede se l’artista salirà, manco stessimo parlando di un ascensore. Oppure proviamo almeno a farlo ragionare.
‒ Raffaella De Chirico
www.dechiricogalleriadarte.com
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #47
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