Morto l’artista Bruno Di Bello. Fu fervido sperimentatore della fotografia e della luce
Da Napoli a Milano, dal Gruppo ’58 alle ultime sperimentazioni sul digitale. Il ritratto di un artista che ha segnato cinquant’anni di storia dell’arte italiana e i suoi più audaci esiti.
Si spegne a 81 anni Bruno Di Bello (Torre del Greco, 1938 – Milano, 2019). Con lui se ne va uno degli esponenti più validi di quella generazione di artisti critici e ribelli dal forte impegno intellettuale che, alla fine degli anni Cinquanta, sviluppò posizioni controcorrente rispetto all’aleatorietà dell’astrazione e della Pittura Informale. La sua vasta produzione tocca il suo apice nelle sperimentazioni fotografiche, nell’amore per il segno e per la luce trattata come materia; sullo sfondo, resta sempre presente la convinzione che l’arte debba avere, in ogni tempo, una stretta relazione con le condizioni culturali, tecnologiche, psicosociali e politiche della società. Dall’esordio all’interno del Gruppo ’58 di Napoli all’intesa con il gallerista Lucio Amelio, dalla militanza nel movimento di Pierre Restany al legame, rimasto fino alla fine, con Giò Marconi e il suo spazio. Ripercorriamo le tappe di questo artista.
GLI ESORDI DI BRUNO DI BELLO
Bruno Di Bello era nato a Torre del Greco nel 1938. Dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Napoli, le prime gallerie in cui espose furono la San Carlo e la Minerva. Strinse delle forti intese intellettuali con alcuni degli artisti locali, una condivisione da cui nacque il Gruppo ’58. Tra i membri c’erano gli allora giovanissimi Lucio del Pezzo, Mario Colucci, Guido Biasi, Mario Persico, Sergio Fergola, Franco Palumbo e Luca Luigi Castellano, che simpatizzavano e si ispiravano al Movimento dell’Arte Nucleare avviato da Enrico Baj a Milano, sodalizio concretizzatosi nella mostra Gruppo ‘58 + Enrico Baj nel 1959.
GLI IDEALI DEL GRUPPO ‘58
L’ideale che animava il movimento era quello di uscire dall’astrazione pittorica, riconducendosi a una figurazione più vicina all’uomo, alla sua forma e alla sua concretezza, seppur declinandola in un linguaggio personale. Proprio per dar voce a questo senso di contrapposizione, i membri firmarono il Manifeste de Naples (sempre nello stesso 1959) mettendo alla gogna l’astrattismo tramite un violento attacco verbale. Istituirono inoltre un periodico intitolato Documento Sud, un ideale corrispettivo del coevo Azimuth, istituendo un prolifico asse Napoli-Milano (affatto scontato per l’epoca). In questo clima di sperimentazione e fervore artistico, Di Bello dimostrò una spiccata attenzione per il segno e le sue possibilità combinatorie e ritmiche della pittura, che iniziò ad applicare anche alla fotografia a partire dalla metà degli anni Sessanta. Nel ’66 venne notato dallo storico gallerista napoletano Lucio Amelio, esponendo la sua prima personale alla Modern Art Agency. L’anno dopo, decise di trasferirsi a Milano.
IL PERIODO MILANESE DI BRUNO DI BELLO
Per tutte le vicende vissute in gioventù e per i numerosi legami intessuti, Bruno Di Bello non tardò, una volta approdato nel nuovo contesto artistico milanese, a legarsi ai movimenti dalla sperimentazione più audace. Come quello della Mec-Art, teorizzata da Pierre Restany: un gruppo che, ancora una volta, rifiutava l’elitarismo dell’arte che voleva l’artista come genio assoluto, favorendo una funzione sociale e comunicativa della sfera creativa priva di esclusività estetica. In tale contesto Di Bello, già nel pieno delle sue ricerche sulla tela fotosensibile, aveva iniziato a usare tale strumento per catturare, scomporre, analizzare e poi ricostruire in modo arbitrario la figura: i soggetti prescelti furono i volti iconici dei protagonisti delle avanguardie storiche e dei propri miti artistici (Klee, Duchamp, Man Ray, Mondrian e i costruttivisti russi), su cui lavorò portando avanti un’idea di arte come riflessione sulla storia della modernità. La sua prima personale milanese avvenne presso la Galleria Toselli nel ’69 e nel ’70; ma fu l’incontro con lo Studio Marconi che rappresentò uno dei legami più intimi e solidi di tutto il suo percorso. Qui, infatti, espose un’installazione composta da 26 tele fotografiche contenenti la scomposizione dell’intero alfabeto, frutto di ricerche estetiche-analitiche fondate sulla perdita di significato di numeri e lettere all’interno delle opere; era l’inizio degli anni ’70 e quella sarebbe stata la prima di una lunga serie di mostre che avrebbe documentato i suoi progressi nel tempo (di cui si sottolinea Antologia, l’importante mostra antologica con il testo di Bruno Corà, avvenuta nel 2010).
LA MATURITÀ DI BRUNO DI BELLO
Gli anni Settanta e Ottanta, furono i decenni in cui la sua notorietà raggiunse un altissimo livello, e così anche le sue più audaci sperimentazioni sulla luce e sulla fotografia. Le sue collaborazioni si fecero anche internazionali, esponendo alla Galleria Art in Progress di Monaco, alla Kunsthalle di Berna, alla Galleria Müller di Stoccarda, all’I.C.C. di Anversa e al Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. Continuando l’elaborazione sulla tela fotosensibile, iniziò a disegnare su tale supporto direttamente con la luce, servendosi di una torcia elettrica; sviluppò inoltre un nuovo modo di usare la tecnica fotografica, giustapponendo tra la fonte luminosa e la tela figure umane e oggetti che proiettano su quest’ultima le loro ombre, sviluppando poi la tela fotosensibile con larghe pennellate di rivelatore. Un esito esemplare è Apollo e Dafne nel terremoto, eseguito per la collettiva Terrae motus allestita da Lucio Amelio nel 1987 ed esposta al Grand Palais Parigi (e oggi permanente presso la Reggia di Caserta). Già dall’inizio degli anni Novanta, coerentemente alla propria produzione artistica, aveva subito una profonda fascinazione nei confronti delle nuove tecnologie: una su tutte la fotografia digitale, che gli permise di acquisire conoscenze totalmente nuove nella creazione ed elaborazione dell’immagine. Tra gli esiti di queste applicazioni, vi furono i frattali, trasposizione digitale dell’indagine sul segno condotta per una vita, punto di incontro tra rigore scientifico ed espressione artistica. Come aveva dichiarato in un’intervista all’inizio del 2000, infatti: “Sono convinto che riusciremo a trovare un linguaggio veramente di avanguardia solo attraverso un uso competente ed esperto delle tecnologie digitali”.
-Giulia Ronchi
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