Sconfinare. Carlo Zinelli a Mantova
Palazzo Te, Mantova ‒ fino al 9 giugno 2019. Dal lavoro forsennato al manicomio di San Giovanni della Tomba alla volontà di Vittorino Andreoli di arrivare a Jean Dubuffet: un invito a fidarci degli occhi più che della mente.
La prima mostra dedicata alle opere di Carlo Zinelli (San Giovanni Lupatoto, 1916 – Chievo, 1974) fu organizzata alla Galleria La Cornice di Verona nel ‘57, in occasione della quale Dino Buzzati curò la prefazione del catalogo.Le Sale Napoleoniche di Palazzo Te accolgono invece la più recente, promossa da Fondazione Cariverona. “In qualche maniera si è mesmerizzati dalle opere di Zinelli”, afferma il curatore Luca Massimo Barbero alla conferenza stampa dell’inaugurazione, ispirato dagli affreschi della Sala dei cavalli. “L’ossessione può essere felice? Non lo sappiamo, però abbiamo l’occasione di entrare nel labirinto di questo artista, nella sua visione reticolare”, prosegue e ricorda, insieme a Stefano Baia Curioni, direttore della Fondazione Palazzo Te, la figura di Harald Szeemann, quasi un padre putativo dei curatori di oggi, e la mostra da lui organizzata nel 1963 sul tema della follia, Insania Pingens, che coinvolgeva peraltro lo stesso Zinelli.
VISIONE CONTINUA
I soggetti che si stilizzano in pattern, l’impiego dello spazio del foglio (spesso usato sul fronte e sul retro), dove ogni area determinata dalla definizione dei personaggi diventa un varco per nuovi soggetti, decenni di internamento presso gli ospedali psichiatrici: sembra che ancora oggi molteplici aspetti della produzione di Zinelli si rendano di difficile collocazione nello sterminato campo dell’arte. L’impronta che Visione continua intende lasciare riguarda proprio la capacità di fruire i quadri di uno degli esponenti dell’Art Brut in Italia separandoli dal suo vissuto psicopatologico. Insomma negando a quest’ultimo la possibilità di giustificarli.
Forse la relegazione dell’arte degli psicotici in una categoria a sé stante è causata proprio dall’indisposizione di storici e critici ad allargare il cerchio a ciò che sfugge a catalogazioni più o meno accademiche. E quando la distanza viene dettata dalla (in)sanità mentale, si tende a escludere o a venerare. Possono i lavori nati nell’atelier di un manicomio essere equiparati all’elaborazione dell’arte ‘ufficiale’? Ciò che è generato dalla mente di un malato va ritenuto geniale a prescindere, alimentando l’anacronistico sincretismo follia/arte?
OPERE E TITOLI
Forse la risposta a entrambi gli interrogativi è proprio quella di scardinare questo mito. Ovvero: anche chi soffre su un piano psichico può essere un artista, avere padronanza delle tecniche e uno stile unico e, allo stesso modo, le immagini allucinate e sorprendenti di autori psicotici non sempre meritano di essere elevate a capolavori.
Chissà se Zinelli avesse dato dei nomi alle sue opere e quali, chissà se ci avrebbero detto altro ancora. Oggi le vediamo accompagnate dai titoli dati da Sergio Marinelli, Flavia Pesci e Vittorino Andreoli in accordo con la famiglia di Carlo.
‒ Lucia Grassiccia
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati