Quegli oscuri oggetti del desiderio. Joseph Beuys a Roma
Una serie di ritrovamenti legati al passaggio di Joseph Beuys in Italia è alla base della mostra “Costellazione 2”, allestita presso la Casa di Goethe, a Roma. Secondo appuntamento della rassegna che prevede perlopiù multipli inerenti all’artista a partire dai primi Anni Settanta, rinvenuti tra mercatini e robivecchi della Capitale.
“Quel che più profondamente affascina il collezionista è collocare il nuovo acquisto dentro una sfera magica in cui, mentre è percorso dall’ultimo brivido, il brivido del venire acquisito, l’oggetto si immobilizza”. È innanzitutto un omaggio a Walter Benjamin e al suo concetto di collezionismo, l’originale ciclo di mostre Costellazione, ovvero inediti ritrovamenti legati a personaggi tedeschi che sono passati per la Città Eterna e qui hanno lasciato le loro tracce, arrivato al secondo appuntamento dopo l’evento dedicato a Rehinard Dhorn, Ernst Stadelmann ed Ernst Bernhard.
L’irresistibile esigenza di cercare, accumulare, catalogare e conservare nasce da diverse motivazioni e si svolge in ogni sorta di ambito con notevole riscontro già dall’epoca medievale per trovare la sua massima espressione a partire dalla fine del XV secolo con la diffusione delle Wunderkammer, embrioni dell’istituzione museale. Il collezionismo di Giuseppe Garrera, che ha permesso la realizzazione delle due mostre, si fonda su tracce e passaggi di intellettuali dispersi nella metropoli di Roma rinvenuti da rigattieri, antiquari e robivecchi ma anche provenienti da cantine e vecchie case sgomberate di fretta da eredi poco attenti. Ed è proprio in questo modo che è riuscito a scovare oggetti, fotografie, manifesti, cartoline, inviti e quant’altro che tracciano il forte legame di un grande artista come Joseph Beuys (Krefeld, 1921 ‒ Düsseldorf, 1986) con l’Italia, dove arriva per la prima volta da soldato nel 1943 per poi ritornare nel 1971 per la mostra organizzata a Napoli da Lucio Amelio.
JOSEPH BEUYS E L’ITALIA
Al suo esordio italiano appartiene il motto La rivoluzione siamo noi ‒ con l’obiettivo di responsabilizzare l’uomo nei confronti della società e della natura sovvertendo il concetto di arte, che assume un valore antropologico ‒, che ritroviamo in una serie di cartoline rinvenute tra libri e cataloghi di biblioteche dismesse. Al 1974 appartiene, invece, il manifesto di uno dei suoi incontri col pubblico alla Galleria Lucrezia di Domizio a Pescara, cui seguono una serie di foto dell’evento di Gino di Paolo. E ancora, due manifesti progettati dall’artista sciamano, in occasione della Fondazione per la Rinascita dell’agricoltura nel 1978, che riproducono due momenti di discussione a Kassel per Documenta VI e quello tratto da una foto di Mimmo Jodice per la mostra di Andy Warhol ‒ autografato sia Warhol che da Beuys, il quale disegna anche il suo cappello in feltro ‒, dove i due artisti sono stati immortalati nel 1980 a Napoli.
Ai tanti manifesti si affiancano serie di foto, copertine di dischi, stralci di diari di viaggio, lettere e inviti alle mostre, riviste (tra cui una monografia dell’artista) e oggetti come un timbro risalente agli “Incontri internazionali d’arte” e una bottiglia di vino F.I.U. con l’etichetta progettata dall’artista.
DA PIRANESI A ONTANI
L’originale mostra è anche l’occasione per visitare la casa–museo dove Goethe soggiornò durante il suo viaggio in Italia dal 1786 al 1788, dotata di una preziosa biblioteca e arricchita da una serie di incisioni romane di Piranesi e illustrazioni del Faust di Dalí, nonché da celebri ritratti dello scrittore a opera di Johann Heinrich Wilhelm Tischbein ‒ che lo accompagnò nel viaggio insieme ad altri artisti tedeschi ‒ di Warhol e Ontani.
‒ Roberta Vanali
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