Essere nel mondo. Una collettiva a Roma
La Galleria Nazionale, Roma ‒ fino al 7 aprile 2019. Una collettiva di artisti contemporanei indaga le tante sfumature dello stare al mondo.
La Galleria Nazionale di Roma si apre sempre più al dialogo con la città e con gli artisti, lo testimonia la volontà di usare i suoi spazi sempre più spesso per mostre temporanee come You Got to Burn to Shine, il cui titolo è un omaggio a una raccolta del poeta, artista e performer statunitense John Giorno. La curatrice Teresa Macrì ha scelto gli artisti con uno sguardo trans-generazionale, al fine di sottolineare la complessità dell’individuo nello stare al mondo e il suo costruirsi come soggetto nell’epoca post-ideologica.
GLI ARTISTI
Fra i tredici artisti in mostra si individuano posizioni diverse eppure in dialogo: Francis Alÿs “scolpisce” un minuto di silenzio in un progetto di arte pubblica a Panama, coinvolgendo la popolazione in quella che diventa un’azione di “guerrilla” pacifica, mentre le armi di John Giorno sono i testi poetici che usa come rivoluzionario mezzo di comunicazione diretto alla fruizione di massa, così come lo è il percorso cinematografico del regista Luca Guadagnino, che attrae l’osservazione instabile del visitatore con un’installazione sorprendente e ipnotica, strettamente connessa alla fisica della visione.
C’è chi come Roberto Fassone realizza opere che convertono il senso in nonsense, in questo caso la materializzazione delle idee all’interno di un muro al suono di una campanella attivata dal pubblico, così come Krištof Kintera inventa mondi altri popolati da Nervous Trees, sculture cinetiche che per mezzo dei loro movimenti dialogano attivamente con chi guarda, in un curioso linguaggio non verbale. Più legati al rapporto con la storia recente e con l’attualità sociopolitica sono Luca Vitone, che riflette su Berlino come simbolo della storia contemporanea in una video installazione in cui Il fulgore del futuro è metafora dei sogni dell’umanità che girano in tondo, e Sislej Xhafa, che vive quotidianamente gli effetti dell’immigrazione e li raggruma in modo spiazzante, in un armadio illusoriamente pieno di fuochi d’artificio pronti a esplodere con violenza.
IBRIDARE LE DISCIPLINE
Questa poliedricità, invece di confondere, è in grado di suggerire l’idea di una impalcatura strutturale che ibrida le varie discipline, oramai sempre più interconnesse tra loro. L’ambizione altissima è quindi quella di esplorare quali dispositivi possano essere innescati per tramutare le proprie personali posizioni in suggestioni estetico-visive, parlando però alla coscienza collettiva, in un presente in continuo mutamento.
‒ Chiara Ciolfi
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