La bava sul cuscino di Thomas Braida. Intervista alla curatrice Caroline Corbetta
A cavallo tra miart e design week, la galleria Le Dictateur ospita una nuova serie di lavori dell’artista friulano, creature fantastiche realizzate in ceramica che traggono ispirazione dalla natura morta ma si muovono nei territori del sogno. Abbiamo intervistato la curatrice
Thomas Braida (Gorizia, 1982), curato da Caroline Corbetta, presenta una serie inedita di sculture funzionali per una mostra che nasce anche dall’incontro con Federico Pepe di Le Dictateur, spazio indipendente che da sempre si muove sui confini tra le varie discipline, dissolvendoli. La mostra, che apre il 6 aprile, durante la “Art Night” della settimana di Miart, e rimarrà aperta fino al 14 aprile, giorno di chiusura del Salone del Mobile, s’intitola La bava sul cuscino. La curatrice racconta il percorso ad Artribune.
Da dove viene il titolo La bava sul cuscino? Per quali motivi è stato scelto Le Dictateur per presentare questo progetto?
Si tratta di una citazione da una frase detta da Thomas mentre parlavamo dei lavori in mostra, delle sue sculture “funzionali e fantastiche” in ceramica, che lui ha definito “oggetti rubati dai miei quadri, dalle nostre fasi R.E.M., quelle che ti lasciano la bava sul cuscino”. Questo dentro-fuori continuo tra realtà e rappresentazione, tra veglia e sogno, ha ispirato anche l’allestimento della mostra: sarà come entrare in un mondo parallelo.
Cioè?
C’era nell’aria da un po’ di tempo la volontà di fare qualcosa con Thomas Braida da Le Dictateur. Un giorno, improvvisamente, guardando il tavolino-scultura in ceramica che Thomas aveva realizzato per casa mia, su mio desiderio e richiesta, ho sentito che dovevo proporre a Federico Pepe una mostra di sue sculture funzionali da farsi tra il miart e il Salone trattandosi, appunto, di un progetto sui generis a cavallo tra arte e design. Federico, che da sempre agisce sui confini tra le varie discipline, ha risposto immediatamente in modo positivo e ci siamo messi all’opera, soprattutto Thomas.
Quali nuovi lavori presenterà e da dove ha tratto ispirazione per realizzarli?
Si tratta di una serie di oggetti scultorei dalle svariate funzioni: brocche, fermacarte, lampade, portauovo…presentati all’interno di una installazione ambientale che include anche quadri, carte da parati, tappeti e mobilia varia. L’ispirazione principale è la natura morta ma anche il sogno: Braida ha plasmato oggetti immaginari come fossero vivi.
Sono funzionali oltre che opere d’arte?
Come li ha definiti lui stesso, sono “oggetti al limite del loro utilizzo, del loro senso e della loro bellezza”. Io le chiamo sculture funzionali ma è evidente che la funzionalità è qui secondaria, è quasi accidentale perché deriva dalla fantasia e dall’intuito, e non da un progetto. Thomas parte dalla forma per arrivare alla funzione, con un processo inverso a quello del design. Ma come il mio tavolino Melville/Goya – su cui i miei ospiti si siedono o vi poggiano calici, non senza chiedermi di cosa si tratti – tutti gli oggetti in mostra possono essere usati.
Da quanto tempo Thomas lavora con la ceramica?
Ho cominciato in Friuli, la sua terra d’origine, anni fa, imparando da suo padre che conosce bene la tecnica essendo scultore, oltre che pittore.
Tra organicità e ramage fiabeschi, quali nuovi paesaggi estetici vedremo in galleria?
Le ceramiche sono prolungamenti e, allo stesso tempo, anticipazioni di quadri che Thomas ha già fatto o che farà. Il paesaggio estetico è il suo, quella magnifica condensazione di reminiscenze oniriche e di copia dal vero. Sarà come entrare fisicamente in una sua natura morta o in un sogno, o un cartone animato come La Bella e la Bestia, dove anche gli oggetti sono animati. Abbiamo molto ragionato intorno alla suggestione che gli oggetti possano avere un’anima e contenere storie. Gli spiriti degli oggetti in Giappone hanno un nome, Tsukumogamie, e vengono celebrati cerimonie funebri per le cose vecchie; il fermacarte del racconto di Théophile Gautier, un piede di mummia, che è in realtà un fantasma; e anche le cose di Borges che “dureranno più in là del nostro oblio; non sapranno mai che ce ne siamo andati” e continueranno a raccontare le nostre storie…
Potresti esprimere un pensiero, un messaggio che accompagni questo progetto?
Si, è un messaggio che parte da questa mostra ma che va oltre: credo sia importante, come curatrice, sollecitare negli artisti esplorazioni di nuovi territori; stimolarli a non muoversi solo all’interno di confini linguistici prestabiliti ma di sperimentare con desiderio, coraggio, e fantasia, sconfinando in altri territori e scardinando pregiudizi intellettualistici e gerarchie superate tra arte e artigianato, ma non solo. Ecco: spero che desiderio, coraggio e fantasia non mi abbandonino mai.
– Ginevra Bria
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati