Estetica del mito contemporaneo. A Perugia
Spazio Kossuth, Città della Pieve – fino al 15 marzo 2020. La potenza simbolica del mito racconta l’uomo moderno e le sue contraddizioni: allo Spazio Kossuth di Città della Pieve si ricompongono i frammenti di una memoria universale tra sogno e musica.
Tra le macerie di una cosmogonia postmoderna, l’artista-demiurgo deve ridare forma al caos: nelle sue mani il fantasma del mito prende nuovamente vita e torna a raccontare la propria verità sugli uomini e la loro incomprensibile natura. Mitopoietica è l’opera stessa, immagine di uno stato d’animo universalmente condiviso che va oltre il qui e ora.
Il mito, in fuga da millenni alla presa della ragione, approda allo Spazio Kossuth di Città della Pieve, per cantare le gesta di un mortale senza Itaca attraverso le opere contemporanee raccolte dal curatore Matteo Pacini. Si dissacrano nell’oggi le favole della Grecia arcaica, madre di quella scintilla di civiltà che il Prometeo di Kokocinski ha regalato agli uomini nel sacrificio; cavalca l’Amazzone di Lucchi, fatta di vento ma ora più che mai plasmata nella terra della storia. Il Marte di Carotti è l’adolescente che “gioca” a fare il dio con il fucile, tragicamente attuale, mentre l’enigmatico Re Mida si lascia contaminare dagli atomi di un futuro primigenio. Gli artisti richiamano una classicità che degenera in denuncia e il campo di battaglia diventa la discarica di una dea della guerra che trapassa i millenni.
L’ENIGMA DELLA BELLEZZA
Il mito della bellezza per l’uomo rimane un’utopia fluida, mai pienamente terrestre: sul palcoscenico dell’Olimpo di Kossuth, le creature si lasciano guardare ma non guardano, troppo vere ma allo stesso tempo lontane dal mondo reale, consapevoli della propria perfezione sconosciuta ai mortali. I canoni della bellezza (neo)classica si prosciugano nella tensione dei muscoli che allunga i corpi, la materia levigata non ha più peso: l’universo di Kossuth è lo spartito perfetto in cui reale e irreale coincidono, sul quale sfumano mito e realtà.
Le sue creature rifuggono l’immobilità, palpitano le carni attraversate da armoniche tensioni muscolari ed emotive: così la lotta tra la sfuggente Dafne e Apollo che la insegue diventa una danza; il Bacco contorsionista sfida una corporeità che non gli appartiene, come il Fauno circense salta nel vuoto dell’estate.
Lo scultore tedesco è alla ricerca dell’essenza del movimento attraverso l’arte più immobile: la sua mano indossa il guanto dell’idea per catturare il sentimento incantato, il sogno di una forma pura, ostinatamente apollinea. Ma nel rovinoso volo di Icaro s’infrangono a terra le illusioni del mito della perfezione e il Fauno d’inverno langue schiacciato dal peso dell’avvicendarsi delle stagioni. Un atipico fauno galantuomo fa il baciamano a una dea estatica e non più ritrosa: a lei Kossuth chiede di danzare sul mondo nella sua casta nudità, di piroettare sulle punte al suono di un violino lontano.
‒ Serena Tacchini
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