La pittura e il mare. Piero Guccione a Mendrisio
Museo d’Arte di Mendrisio ‒ fino al 30 giugno 2019. Il museo di Mendrisio ospita la prima mostra dedicata a Piero Guccione dopo la sua scomparsa.
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“Sono un uomo che ha bisogno di guardare il mare, con la memoria, guardarlo avendolo lì a un passo, come lo avevo certamente guardato da bambino”, confidava nel 1983 Piero Guccione (Scicli, 1935 – Modica, 2018) a Giorgio Soavi, uno dei critici che gli furono vicini e seppero cogliere il messaggio poetico della sua opera. Il pittore si era trasferito, dopo il lungo soggiorno romano, a Punta Corvo, sulla costa rocciosa che delimita l’altopiano modicano verso sud, verso l’Africa, e sarebbe approdato di lì a poco a Quartarella, teatro della sua vita fino al 2018, anno della morte.
Aveva lasciato la nativa Scicli dopo la scomparsa del padre, negli Anni Cinquanta, per cercare a Roma vie entro le quali crescere e sviluppare la sua arte. Là si avvicinò a Guttuso, siciliano come lui, scoprì la pittura di Scipione e Mafai, tenne le sue prime personali (alla Galleria Il Gabbiano) e preparò le partecipazioni alle Biennali veneziane. Nel 1970 Guccione realizzava il dipinto Le linee del mare e della terra, che apriva interi cicli di opere dedicate al paesaggio, marino e non solo, e diviene oggi incipit della prima retrospettiva post mortem dell’artista: Piero Guccione. La pittura come il mare, organizzata al Museo d’Arte di Mendrisio.
OMBRA E CIELO
Nella mostra, in una folgorante carrellata di dipinti declinati in tutta la gamma delle luci diurne e vespertine, si susseguono 56 opere, tra oli e pastelli, datati dal 1970 fino al 2008, anno questo cui risale il pastello Il nero e l’azzurro, una delle opere che sanciscono con maggior incisività il percorso dell’artista. L’ombra è infatti sempre in agguato nelle sue rappresentazioni naturalistiche dove l’uomo non appare, ma di cui si avverte la presenza grazie alla percezione di una partecipazione panica, tra stupore, mistero e sereno abbandono. E ogni giorno si ripete il miracolo dell’artista che si protende nell’abbraccio ‒ in una sola tela o in tante tele, come quelle dell’omerica Penelope – delle incommensurabili marine, silenziose ma mai immobili ‒ “a me interessano le superfici piatte che piatte non sono, proprio come è lo spazio”, osservava Guccione ‒, dei cieli, della macchia mediterranea, ibischi o carrubi.
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Piero Guccione, Tramonto a Punta Corvo, 1970, olio su tela
IL SENSO DELL’INFINITO
Ignoto abitatore di acqua e aria, il senso dell’infinito affiora dallo spettacolo mediterraneo, in apparenza monotono eppur imprevedibile a ogni alba, che tralicci elettrici e linee d’orizzonte tentano invano di arginare entro confini spaziali percepibili. Tanto è soverchiante, tra metafisica e astrazione, la potenza degli azzurri increspati da onde sottili, e pervasivo l’impatto dei viola, dei grigi, dei bruni, che annunciano la notte, o la tempesta.
‒ Alessandra Quattordio
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