Versus. Il dibattito tra pensiero e azione
Un nuovo dialogo tra due grandi artisti per la rubrica “Versus”. Giorgio Griffa e Nico Vascellari sono invitati a una riflessione sul modo in cui ragione e istinto interagiscono nel proprio percorso di ricerca e più in generale in qualsiasi esperienza creativa.
Ogni opera d’arte nasce da un connubio tra pensiero e azione: talvolta prevale la dimensione mentale, in altri casi è l’operare fisico dell’autore a imporsi in quanto di per sé significativo. Esistono però tante sfumature intermedie tra un approccio concettuale puro e un linguaggio performativo inteso come radicale affermazione del corpo. Non si tratta di una mera distinzione formale o stilistica: dietro i movimenti di un performer o le dinamiche di un happening può esserci un copione meditato, frutto di un intenso impegno intellettuale, mentre la gestualità di un pittore può catturare e spostare l’attenzione dei fruitori dal prodotto finito all’atto del dipingere. Argomento principale della conversazione tra Giorgio Griffa e Nico Vascellari è proprio l’interdipendenza tra testa e braccia: nessuna gerarchia è possibile, ma una perfetta simmetria è altamente improbabile.
Come descrivereste il processo creativo alla base del vostro lavoro? Tutto parte da un’idea, che poi si concretizza nell’opera, oppure è il fare che automaticamente genera contenuti?
Giorgio Griffa: Ritengo che il mio lavoro sia lontano sia dall’action painting sia dal concettuale: io seguo con attenzione, lentamente, l’evento che avviene dipingendo, un segno dopo l’altro, cercando di dimenticare me stesso.
Nico Vascellari: Nel processo creativo nulla è automatico. Vivere è il fare di cui parli ed è forse per questo che tendenzialmente è al di fuori dallo studio che le intuizioni si manifestano. Dove queste divengano idee è più difficile da dirsi. Di base non si inizia e non si finisce.
Entrambi avete attribuito scarsa rilevanza alla progettualità nelle vostre risposte. Cercare di dimenticare se stessi inseguendo i movimenti della mano che dipinge può apparire una pratica vicina alla meditazione: il pensiero si autoannulla trasformandosi in azione, ma ciò avviene squisitamente in una dimensione mentale, nel raccoglimento dello studio. Vivere ogni momento attendendo la sorpresa dell’intuizione creativa, d’altra parte, significa essere capaci di rendere il fare quotidiano materia prima per le idee: così ogni luogo e ogni momento sono in potenza contesti in cui l’arte può manifestarsi, inglobando relazioni e interazioni sociali. Mi permetto una provocazione: l’artista è dunque soltanto un catalizzatore e l’arte un evento che casualmente accade in sua prossimità?
Giorgio Griffa: D’accordo, l’artista è un catalizzatore, ma la casualità è soltanto una lettura inconsapevole della complessità dei fenomeni. A mio parere l’arte non è mai casuale.
Nico Vascellari: Non intendevo affatto attribuire scarsa rilevanza alla progettualità, ma piuttosto sottolineare la complessità di riassumere in una risposta un periodo di gestazione di un’opera che in progetti come quelli di recente presentati al Palais de Tokyo di Parigi o al Museo Maxxi di Roma richiedono anche un anno. Come artista accetto di buon grado l’idea che l’arte nasca laddove la parola risulta inutile o addirittura dannosa alla comprensione. Perché dovrei dunque tentare di costringere la mia condizione di artista con una definizione?
Comprendo la vostra reazione a quello che, come annunciato, voleva essere un quesito provocatorio. Abbiamo chiarito quindi che la casualità, se pure gioca un ruolo (come in ogni vicenda umana), non può essere intesa come chiave di lettura del vostro lavoro, che richiede contemporaneamente capacità di pianificazione e momenti di completo abbandono allo scorrere degli eventi. Senza l’assurda pretesa di costruire definizioni universalmente valide, posso chiedervi di descrivere da un punto di vista personale ed emotivo cosa avviene nella vostra mente nell’attimo in cui percepite che un’opera è pronta per raggiungere il pubblico e non ha più bisogno di voi?
Nico Vascellari: Se è vero che il lavoro di un artista è un percorso, ogni passo è successivo al precedente e precedente al successivo. Ed è anche vero che non esiste un processo, non esiste in altre parole una soluzione. Questa è una battaglia, continua e difficile. Come procedere è un mistero e guardarsi indietro non aiuta. Le emozioni sono importanti, ma quasi mai alleate sulle quali poter contare. È più o meno tutto una bugia, e questa è una fortuna, per chi come noi deve convincere gli altri che sia la verità.
Giorgio Griffa: Direi che la mia mente passa a un altro lavoro. Infatti ho bisogno concreto di non perdermi in formule generali che sono sempre inevitabilmente riduttive rispetto alla realtà. Ho bisogno di concentrarmi sulla filosofia interna di ogni lavoro, sull’identità nuova che si verrà a profilare soltanto facendolo in concreto, un segno dopo l’altro. Si tratta di ritrovare di volta in volta l’unità che abbiamo dovuto scindere per capirci qualcosa, e ritrovarla forse con una consapevolezza che prima non c’era. Il caso che ci aiuta è quella parte di causalità che ci resta ignota e appunto la chiamiamo casualità. Quanto al lavoro finito, ormai esso è finito, se ne sarà capace vivrà di forza sua, ma questo io non posso saperlo.
Emozione e regola hanno entrambe origine nel pensiero. Pure ogni mediazione è frutto dell’intelletto. Allora può esistere un fare del tutto libero, o il primato dell’azione è illusione e inconsapevole imitazione, come il gioco dei bimbi?
Nico Vascellari: Al pari del Minotauro o Freddie Krueger, la libertà non è altro che una creatura mitologica. Quando non sono nella realtà e neanche nella mia immaginazione dove sono? Quale antenato parla in me? Quale atavica regola è rimasta impressa durante la fase evolutiva antecedente al mio concepimento? Sono solamente libero di provare a intrattenere o trasformare me stesso di continuo seguendo il ritmo scandito dal tempo, il promemoria che da questa vita non ne uscirò vivo.
Giorgio Griffa: A mio parere possiamo baloccarci all’infinito su questi temi. Ciascuno offre la sua risposta e tutte le risposte possono essere una porzione di vero. Faccio un esempio tratto dallo Zen. Il samurai è inevitabilmente sconfitto sia ove segua il ritmo sdoppiato, la mente comanda e la mano esegue, sia ove combatta a caso. Non per nulla ha bisogno di una lunga disciplina per raggiungere l’unità di pensiero e azione. Quando l’opera si compie, la ricerca di ciò che prevale è un gioco di lettura assolutamente personale di ciascuno. Mondrian è un perfetto prodotto razionale oppure una lirica sublime inafferrabile? Per me la domanda non si pone neppure. È chiaramente entrambe le cose.
‒ Vincenzo Merola
Versus#1 Christian Caliandro vs Ivan Quaroni
Versus#2 Sergio Lombardo vs Pablo Echaurren
Versus#3 Vincenzo Trione vs Andrea Bruciati
Versus#4 Chiara Canali vs Raffaella Cortese
Versus#5 Antonio Grulli vs Chiara Bertola
Versus#6 Sabrina Mezzaqui vs Giovanni Frangi
Versus#7 Alice Zannoni vs Matteo Innocenti
Versus#8 Gian Maria Tosatti vs Luca Bertolo
Versus#9 Lorenzo Bruni vs Giacinto Di Pietrantonio
Versus#10 Alessandra Pioselli vs Pietro Gaglianò
Versus#11 Marinella Senatore vs Flavio Favelli
Versus#12 Renato Barilli vs Ilaria Bignotti
Versus#13 Emilio Isgrò vs Marcello Maloberti
Versus#14 Lorenzo Balbi vs Alberto Zanchetta
Versus#15 Giuseppe Stampone vs Nicola Samorì
Versus#16 Domenico de Chirico vs Lorenzo Madaro
Versus #17 Andrea Lerda vs Domenico Quaranta
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