Simbologia politica liquida. Intervista a Maria Wasilewska
In mostra negli ambienti di Amy-D, a Milano, fino al 19 maggio, l’artista polacca Maria Wasilewska descrive la sua poetica e riflette sul clima politico attuale.
Maria Wasilewska è un’artista polacca (Torun, 1971). Le sue opere sono esposte in queste settimane presso lo spazio Amy-D di Milano, per la mostra Game Over #2. Il progetto è una riflessione sulle tendenze nazionaliste dei nostri anni. Ne abbiamo parlato con l’artista, cogliendo l’occasione anche per una riflessione sulla situazione culturale del suo Paese.
Prima di tutto vorrei mi aiutassi a conoscere meglio il tuo lavoro. Di cosa si occupa la tua arte?
Poiché le mie radici sono nella scultura, l’esperienza dello spazio è molto importante per me. Attraverso l’arte cerco di comprendere la natura e me stessa ‒ quale elemento immanente di essa. Per me la realtà è una continua fonte di ispirazione, che ricevo in maniera intuitiva e sensoriale. Mentre creo i miei modelli di spazio, cerco di instaurare un’unità fisica e mentale coerente, che possa contenere un’informazione sul mondo pur non fornendo risposte semplici e chiare su di esso. Di recente ho riscoperto le mie intuizioni nella scienza ‒ dalla fisica alla matematica, passando per la psicologia, la sociologia e la politica.
Il progetto che presenti presso lo spazio Amy-D parte da presupposti politici, e in particolare dal tentativo di indagare le correnti nazionaliste nella politica dei nostri giorni. È una riflessione sulla politica nazionale polacca, o più in generale sulla situazione europea?
Il progetto Game Over riguarda la situazione che stiamo affrontando ora, non solo in Polonia ma in Europa e nel mondo intero. In molti Paesi i partiti conservatori sono al comando. Le tendenze nazionaliste sono come demoni risvegliati, di cui dovremmo avere paura e a cui dovremmo opporci, consapevoli dei pericoli causati da una simile situazione. La nostra indifferenza verso ciò che sta succedendo significa consenso.
In mostra presenti sculture e video. Me ne parli?
Game Over #2 parte da una mia idea fissa: risvegliare l’osservatore dall’ottusità. L’obiettivo del progetto è quello di attirare l’attenzione sugli eventi pericolosi ricorrenti e, come conseguenza di ciò, deporre le “armi” per trasformare il comportamento distruttivo in costruttivo. Gli elementi principali del progetto sono un video e sei strutture d’acciaio. Il video spiega le forme delle strutture stesse: si tratta di alcuni simboli nazionalisti (scelti da me) adottati da diversi Paesi, che richiamano visivamente simboli fascisti della Germania e dell’Italia; c’è inoltre una croce celtica, utilizzata dalle fazioni nazionaliste delle isole britanniche, dell’Italia, della Grecia e degli Stati Uniti; la falange usata dai gruppi nazionalisti polacchi, o la runa Wolfsangen, che è un segno del partito ucraino Swoboda. In mostra sono presenti questi e altri simboli provenienti da diverse parti del mondo.
Che connotazione assumono questi simboli nella tua opera?
Nel mio video, questi simboli di aggressività si uniscono e si espandono prendendo le sembianze di pozzanghere astratte, che successivamente vengono trasformate in forme d’acciaio piene di olio tossico bruciato, fino a creare superfici specchianti in cui potersi riflettere. Gli elementi centrali dell’allestimento sono due pistole situate all’ingresso e puntate verso i visitatori. In altre stanze ho installato due segnali al neon rossi riportanti la scritta “ON” e “OFF”.
Quella di Milano è la seconda tappa del progetto. Quando hai iniziato a lavorare su Game Over, e quali sono le fasi attraverso cui si è sviluppato il lavoro in questi anni?
Ho realizzato il progetto nel 2018 e l’ho presentato a giugno presso la galleria MOS di Gorzów Wielkopolski, in Polonia. A Milano ho aggiunto due nuovi elementi: si tratta delle due insegne al neon “ON” e “OFF” per sottolineare il nostro atteggiamento nei confronti delle tendenze aggressive: possiamo accettarle, oppure no. La scelta sta a noi.
Quando parli di Game Over a cosa ti riferisci? Chi sono i vinti e chi i vincitori di questo gioco?
Penso che sia giunto il momento di mettere fine a questo gioco. Se continuiamo ancora a giocare con i demoni dei nostri tempi (intendo le tendenze nazionaliste, i fascismi, gli estremismi religiosi, il razzismo e l’antisemitismo crescente), noi tutti potremmo perdere. L’uso di questi comportamenti da parte delle autorità politiche è inaccettabile, così come la nostra indifferenza verso di essi. In Polonia, tuttavia, come in molti altri Paesi, abbiamo ancora il diritto di voto, che ci permette di decidere in quale realtà vogliamo vivere.
Le tue opere sono una riflessione sulla legittimazione dell’aggressività, del fascismo e del razzismo da parte delle autorità politiche contemporanee. Credi davvero che l’arte possa essere uno stimolo attivo per animare il dibattito sulla politica contemporanea?
Ci devo credere! Devo credere che la cultura e l’arte siano in grado di rinnovare lo spirito delle persone, per aiutarle a riscoprire il bene, per farle riflettere attivando in loro un atteggiamento costruttivo. Questo è il motivo per cui ho realizzato questo progetto. Ho deciso, come artista, di reagire a questa spaventosa realtà. Devo sperare che sia l’arte a costruire la nostra coscienza – o almeno la mia! –, non certo i giornali, che sono strumenti dell’autorità.
Una considerazione su un evento capitato di recente in Polonia, e che credo tocchi in maniera purtroppo puntuale la tua riflessione artistica: qualche settimana fa il Museo Nazionale di Varsavia ha deciso di togliere dalle pareti del museo tre opere di tre artiste ritenute offensive per la sensibilità del pubblico. Mi spieghi meglio cos’è successo?
È davvero difficile spiegare qualcosa di incredibilmente assurdo come l’evento a cui ti riferisci. Le opere rimosse, riconosciute dalla storia dell’arte moderna, si riferiscono alla posizione della donna nel mondo [si tratta di alcune opere di Natalia LL e Katarzyna Kozyra, N.d.R.]. Sono opere che testimoniano una voce importante di donne-artiste. Dobbiamo forse smettere di farci ascoltare e tornare al ruolo della donna come individuo subalterno?
Recentemente ho visitato la Pinacoteca di Brera a Milano e ho visto opere di grandi maestri: le donne presenti nei loro dipinti raffigurano la donna come madre di Dio, o comunque sempre come una donna al servizio degli uomini. Queste immagini presentano soprattutto scene bibliche, e sono state create tra il XV e il XIX secolo. Questo è il XXI secolo!
Eppure qualcosa di simile è accaduto anche prima dell’apertura della tua mostra a Milano. A quanto pare il Consolato Polacco non ha apprezzato il tema del tuo progetto – chiedendo la censura di alcuni passaggi del comunicato stampa e minacciando di sospendere la collaborazione…
Senza entrare nei dettagli, penso che siano situazioni incomparabili. Le reazioni alla mia mostra sono state il risultato di interpretazioni individuali, a cui ognuno ha diritto, ovviamente. Spero che il Consolato Polacco abbia apprezzato il carattere universale del mio progetto.
Anche alla luce di situazioni simili, che certamente non sono episodi isolati nella politica polacca degli ultimi anni, ti chiedo: in che direzione sta andando la cultura del tuo Paese?
Non sono un politico ma un’artista. È difficile prevedere il futuro della cultura. La situazione nell’odierna Polonia è il risultato della trasformazione del 1989, anno in cui la Polonia ha conquistato l’indipendenza. Dopo aver ristabilito la libertà, la maggior parte degli sforzi furono indirizzati a recuperare il gap economico, e questo è stato lo scopo principale di buona parte dell’attività politica degli ultimi decenni. I problemi della cultura furono trascurati già allora. Tanto la sfera spirituale, quanto quella pubblica, vennero trascurate dallo Stato – mentre fu la Chiesa a farsi carico di ciò (per esempio introducendo la religione tra le materie della scuola pubblica). La coscienza sociale di oggi, insomma, è il risultato anche di quelle azioni. La cosiddetta arte critica ha definito questo problema in modo insufficiente. La cultura ha trascurato il momento più importante della recente storia della Polonia, e ora è in una trappola.
‒ Alex Urso
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