Perché il Padiglione Lituania meriterebbe il Leone D’Oro: l’opinione di Gianluigi Ricuperati
Il Padiglione Lituania alla 58. Biennale di Venezia presso il Circolo Ufficiali Marina Militare è un piccolo tesoro. Gianluigi Ricuperati ci spiega perché
Non sono un giurato della Biennale di Venezia 2019, ma se lo fossi avrei già un piccolo tesoro da nascondere sotto la carta del taccuino: il Padiglione Lituano, splendidamente curato da Lucia Pietroiusti, appare come una sorpresa che produce meraviglia, distanza, aria irreale come le cose nella vecchia canzone del 1981 di Franco Battiato, Summer on a Solitary Beach.
IL PADIGLIONE LITUANO
E l’atmosfera mentale non è molto distante da quel sublime racconto d’estate à la Philip Glass mediterraneo, perché la performance continuativa che si svolge in uno dei caseggiati dell’Arsenale Militare s’intitola proprio Sun & Sea (Marina), ed è il dono fatto alla Laguna dell’arte da una banda di artiste provenienti da discipline diverse: Rugilè Barzdziukaitè, Vaiva Grainylè, Lina Lapelyte. Scrittrici, compositrici, musiciste, registe…
Sun & Sea prende le sembianze di una spiaggia, al piano terra di un magazzino che al secondo piano permette ai visitatori di assistere dall’alto ai movimenti coordinati e armoniosi, semplici e annoiati, poetici e divertiti di un gruppo di bagnanti immersi in un litorale caldo senza mare apparente.
Cosa succede, dunque? Un’opera-performance, nelle parole delle autrici, suonata e cantata dal vivo da figuranti che intonano un melologo a più voci dedicata allo spazio-tempo delle vacanze, con il grande desiderio di andare in vacanza dalla vacanza. Dialoghi di discorsi comuni.
La musica sembra ispirata ai classici contemporanei dell’Est, ma senza l’afflato sacrale di Arvo Part. Monadi melodiche suonate su tastiere che potrebbero essere un organo ma non lo sono, mentre le voci intonano un bellissimo testo poetico che rende conto di quel che avviene dietro gli occhi di tante teste sotto il sole.
Sun & Sea prende le sembianze di una spiaggia, al piano terra di un magazzino che al secondo piano permette ai visitatori di assistere dall’alto ai movimenti coordinati e armoniosi, semplici e annoiati, poetici e divertiti di un gruppo di bagnanti immersi in un litorale caldo senza mare apparente.
Cosa succede, dunque? Un’opera-performance, nelle parole delle autrici, suonata e cantata dal vivo da figuranti che intonano un melologo a più voci dedicata allo spazio-tempo delle vacanze, con il grande desiderio di andare in vacanza dalla vacanza. Dialoghi di discorsi comuni.
La musica sembra ispirata ai classici contemporanei dell’Est, ma senza l’afflato sacrale di Arvo Part. Monadi melodiche suonate su tastiere che potrebbero essere un organo ma non lo sono, mentre le voci intonano un bellissimo testo poetico che rende conto di quel che avviene dietro gli occhi di tante teste sotto il sole.
UN LUOGO SACRO
Mi ha rapito e portato altrove, la bellezza sensoriale di queste sabbie bianche, come direbbe Geoff Dyer, così ben illuminate, così ben temperate, così ben recitate, così ben adagiate sulla schiena di un luglio impossibile.
Ho amato tutto, di questo padiglione: la semplicità fatta a strati, l’attenzione per il potere fantastico dei corpi liberati, l’insopprimibile nostalgia che promana dai movimenti delle persone, dalle pause dai furori improvvisi della partitura e dalla strana condizione di spioni dell’essere che questo felicissimo intervento ci propone, anzi – ci impone.
È raro, nel nostro sistema liquido, assistere alla nascita di possibili gemme destinate a durare nel tempo. Curioso che a suscitare emozioni pensanti del genere sia la più effimera delle forme d’arte contemporanea, la performance. Qualcosa di simile era accaduto con Anne Imhof due anni fa al Padiglione Gerrmania (la performance cantata delle tre artiste lituane mi ha ricordato una specie di versione solare, e per questo ancor più sottilmente demonica, delle grandi ‘danze sociali’ della Imhof). Anton Chechov scrisse: ‘i momenti d’oro passano e non lasciano traccia’.
Questo è il demone meridiano evocato dal padiglione della Lituania – che sarebbe scandaloso non ricevesse nemmeno una menzione, o un piccolo o grande premio.
Ho amato tutto, di questo padiglione: la semplicità fatta a strati, l’attenzione per il potere fantastico dei corpi liberati, l’insopprimibile nostalgia che promana dai movimenti delle persone, dalle pause dai furori improvvisi della partitura e dalla strana condizione di spioni dell’essere che questo felicissimo intervento ci propone, anzi – ci impone.
È raro, nel nostro sistema liquido, assistere alla nascita di possibili gemme destinate a durare nel tempo. Curioso che a suscitare emozioni pensanti del genere sia la più effimera delle forme d’arte contemporanea, la performance. Qualcosa di simile era accaduto con Anne Imhof due anni fa al Padiglione Gerrmania (la performance cantata delle tre artiste lituane mi ha ricordato una specie di versione solare, e per questo ancor più sottilmente demonica, delle grandi ‘danze sociali’ della Imhof). Anton Chechov scrisse: ‘i momenti d’oro passano e non lasciano traccia’.
Questo è il demone meridiano evocato dal padiglione della Lituania – che sarebbe scandaloso non ricevesse nemmeno una menzione, o un piccolo o grande premio.
– Gianluigi Ricuperati
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