Squarci di tenebra. Yun Hyong-keun a Venezia
Palazzo Fortuny, Venezia – fino al 24 novembre 2019. La storia pittorica del coreano Yun Hyong-keun si dipana negli ambienti della dimora un tempo appartenuta a Mariano Fortuny. Intrecciando vita vissuta, colori, sofferenza e un amore incondizionato per il linguaggio dell’arte.
Prima retrospettiva europea dedicata a Yun Hyong-keun (Cheongju, 1928 – Seoul, 2007), la mostra allestita a Palazzo Fortuny avvolge i fili di una vita solcata dal dolore, ma non per questo povera di speranza. Le opere pittoriche in mostra rispecchiano i traumi, e il desiderio di rinascita, sperimentati dall’artista coreano nell’arco di una esistenza minacciata dallo spettro della guerra. Miracolosamente scampato a una fucilazione di gruppo e vittima di prigionia per aver manifestato il proprio pensiero sullo sfondo di un Paese in conflitto, Yun Hyong-keun trovò nel gesto creativo uno strumento di sublimazione di drammi impossibili da cancellare. Il risultato è una pittura a tinte cupe, esito di un pigmento ottenuto dall’incontro fra il blu oltremare e la terra d’ombra bruciata, fortemente diluito e steso a pennellate ampie e successive, nel quale si insinuano brevi lampi di luce.
CIELO E TERRA
Metafora di cielo e terra, il blu e l’ocra ritmano un vocabolario visivo che intona la lingua della sofferenza, ma anche un grido di riscatto, espresso con l’avvicinamento tardivo, negli Anni Settanta, al mezzo pittorico. Consapevole del proprio vissuto e del significato attribuito alla propria arte, Yun Hyong-keun individua nelle zone buie di un’esistenza travagliata una sorta di sine qua non per lo sviluppo di una creatività destinata a rivelarsi esplosiva. “L’arte non nasce da quelli che prendono le scorciatoie. È solo attraverso un lungo e faticoso cammino che l’arte fiorisce. La verità si realizza e si esprime soltanto mediante la sofferenza”, affermava l’artista. E quella “fioritura” sul terreno della sofferenza è ben ravvisabile nelle opere che, dal piano terra all’ultimo, si impongono come presenze plumbee solcate da squarci di luminosità, come sipari sanguigni e monocromi a tutto campo, supportati da lino, canapa e carta hanji. “Più la pittura è pura, più è difficile dipingere”. Una sfida che per Yun Hyong-keun è coincisa con una lotta per la sopravvivenza, fisica ed emotiva, e che si è tradotta in un instancabile rifiuto della resa. Al buio e alla disperazione.
‒ Arianna Testino
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