Retina: il progetto di Stefano Arienti per Fondazione Malvina Menegaz e Italian Council

La prima tappa del progetto si svolgerà il 21 giugno all’Istituto Italiano di Cultura di Barcellona. Abbiamo incontrato Stefano Arienti che ci ha raccontato il progetto.

Il progetto Retina, promosso dalla Fondazione Malvina Menegaz, presieduta da Osvaldo Menegaz, si è classificato al secondo posto nell’edizione 2018 del bando Italian Council, concorso ideato dalla Direzione Generale Arte e Architettura contemporanee e Periferie urbane (DGAAP) del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, per promuovere l’arte contemporanea italiana nel mondo. A cura di Simone Ciglia ed affidato all’artista Stefano Arienti è incentrato sull’artigianato abruzzese inteso come motore per veicolare a livello internazionale il territorio. La prima tappa del progetto, che prevede anche la collaborazione con Artribune, inaugurerà il 21 giugno nella sede dell’Istituto Italiano di Cultura di Barcellona e, a luglio, nella sede della Fondazione Menegaz di Castelbasso, durante l’ormai ventennale rassegna d’arte estiva. Arienti (Asola, 1961) racconta in questa intervista le tecniche e le motivazioni dell’opera e del progetto.

La sua opera per il progetto Retina è un grande arazzo, prodotto in tre esemplari, e prosegue la sua indagine sullo stato e le possibilità dell’immagine. Ci racconta come è nata?
Si tratta di lavoro fotografico, finora ho trattato poco l’immagine fotografica ma l’ho già fatto in passato e ho cercato di reimmergermi in questo medium in modo personale. In questo caso, ho utilizzato delle tecniche a metà strada tra quelle tradizionali e quelle innovative nell’epoca digitale, per la trasformazione dell’immagine in un oggetto tessile, speciale come un arazzo.

Il lavoro parte da una matrice fotografica che tramite un processo di retinatura viene poi tradotta in un arazzo. Può spiegare meglio come avvengono questi passaggi?
Parto dall’immagine digitale, ma potrebbe essere anche analogica, e con dei semplicissimi programmi di elaborazione, la trasformo da una foto a colori a una in bianco e nero e da questa a due colori. La retinatura serve a far quello, a semplificare l’immagine mantenendone il più possibile le informazioni. Ci sono tanti parametri che posso modificare o utilizzare per andare verso un’immagine più contrastata o più leggibile, o dove la retinatura distrugge un po’ di più le possibilità della foto. Decido io quale è il punto, il risultato che voglio raggiungere.

Stefano Arienti, foto Gino Di Paolo

Stefano Arienti, foto Gino Di Paolo

Tramite Retina si confronta con una eccellenza della tradizione abruzzese, l’Arazzeria Pennese, nata oltre 50 anni fa. Come si è trovato a lavorare con gli artigiani locali?
È stata una bella esperienza, spero di riuscire a imparare cose che non conosco. È la prima volta che realizzo un progetto nel quale mi confronto con un processo di tessitura, piuttosto complesso, che può essere fatto a mano o tramite tecnologie comandate da un computer, però l’obiettivo che mi interessa è che l’immagine resti su un oggetto che ha una materia molto speciale, molto particolare. Quindi, confrontarmi con la sensibilità che ha fatto sviluppare quel tipo di sapere attorno a quegli oggetti speciali è ciò che voglio imparare e spero di poter offrire una sensibilità che arriva dal mondo dell’arte contemporanea alle persone che hanno voglia di confrontarsi con me.

La riscoperta del lavoro artigiano, della tradizione, è al centro del progetto, nel lungo periodo, della Fondazione Malvina Menegaz. Come si inserisce, secondo lei, questa iniziativa nel panorama attuale?
È sicuramente un progetto di ricerca, spero che sia in grado di unire la voglia di confrontarsi e recuperare un sapere tradizionale, diverso dalle tecnologie contemporanee e dalla sensibilità della fotografia contemporanea. Sono immagini che tutti produciamo con dispositivi tecnologici e digitali sempre più complessi che però sono sempre più a disposizione di tutti.

Stefano Arienti, foto Gino Di Paolo

Stefano Arienti, foto Gino Di Paolo

Come ha scelto i tre soggetti per gli arazzi?
Sono immagini molto differenti tra di loro. Una è stata scattata al Museo Batha di Fez, in Marocco, e ritrae un pavimento con il riflesso di luce sulle piastrelle e il colore è il giallo, complementare al nero. Un’altra è un paesaggio abruzzese, un dettaglio di Campo Imperatore, una foto che ho scattato durante un mio viaggio, un elemento di natura che contrasta con le altre immagini. L’ultima è la coperta di un letto, sempre presa in Abruzzo, in particolare a Santo Stefano di Sessanio, molto più intima. Sono tre immagini molto diverse, con una differente profondità: una dominata dalla luce che è quella filosofica, del barocco; una con una atmosfera rarefatta di sassi in montagna e l’ultima più calda con un colore di fondo un rosa carico che contrasta con l’antracite, il disegno di una coperta tradizionale abruzzese.

Un lavoro che racconta sia nella committenza, che nelle collaborazioni che nei soggetti l’Abruzzo…
Sì, e visto che stiamo parlando di doppi o tripli riferimenti, è molto interessante la scelta della coperta da letto che mi ha permesso di utilizzare il disegno di una tessitura che a sua volta diventa soggetto di un altro lavoro tessile (attraverso l’Arazzeria), un’immagine molto pittorica.

Quali difficoltà incontra oggi un artista che si trova da una parte un panorama artistico pressoché compiuto e dall’altra un mondo in cui l’immagine, pur essendo diventata straordinariamente potente (ancor più di quanto si potesse mai immaginare), è spesso ridotta a mera riproduzione ma enormemente moltiplicata proprio grazie alle nuove tecnologie?
In ogni caso gli artisti contemporanei lavorano sull’idea che ci deve essere una compresenza fisica dell’opera d’arte. Questa può essere anche disincarnata rispetto a quella virtuale o digitale, ma in realtà è un’altra forma di materialità. Per noi artisti, confrontarsi con tanti tipi di materialità differenti è molto importante ed è quindi un arricchimento.

Paolo Di Vincenzo

Questo testo è stato prodotto grazie ad una collaborazione tra Artribune e Fondazione Menegaz

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