Miseria dell’arte. L’editoriale di Marcello Faletra
L’arte ha bisogno di riconquistare il suo legame con la dimensione sociale. Partono da questo assunto le riflessioni del saggista Marcello Faletra.
Diderot disprezzava quegli artisti che si recavano al Louvre per imparare a dipingere la compassione, la devozione, la penitenza, il dramma. E raccomandava di andare nelle strade a cercare la pietà, le passioni, la vita e la morte. Distingueva così tra un materialismo volgare e uno pagano e razionale.
Tradotto oggi, questo pensiero significa scegliere fra un’arte relazionale che utilizza dispositivi di partecipazione sociale in cui lo spettatore è un interlocutore diretto (una conciliazione del rapporto fra arte e vita) e un’arte basata sulla catalisi, cioè su procedure di accelerazione di processi sociali (contraddizioni, conflitti) come quelli che investono la decolonizzazione dei Paesi emergenti. Nel primo caso l’artista è un fornitore di esperienze estetiche; nel secondo mette al centro il documento, la parola, la storia, concatenati in un corpus visivo e performativo. In altre parole, per molti artisti l’apprendimento accade nelle grandi rassegne, che negli ultimi anni mettono al centro problemi sociali, giusto per capire l’aria che tira e mettersi in riga; per altri nella strada: Francis Alÿs e Jeremy Deller, ad esempio. Questo pensiero è stato colto da Teresa Macrì con questa espressione: “L’arte probabilmente può reinterpretare il mondo solo affermandosi come corpo comunitario dissidente, abbandonando lo status negoziale che la irreggimenta […] rioccupando un’utopia”.
“Spettacolo del dolore e miseria reale: sta in questa radicale distinzione il nucleo di conoscenza dell’arte di cui parlava Diderot”.
Si tratta di marcare ulteriormente la distinzione fra l’estetizzazione del sociale, che museifica il mondo in funzione di un turismo culturale, e le poetiche della deterritorializzazione. Disinnescare l’arte come spostamento di contraddizioni sociali nello spazio innocuo del museo (l’esibizione) e reintegrarla nel campo di forze delle contraddizioni sociali. Calarla nella storia vivente. L’iconografia della miseria è nota e continua a essere una “pittoresca notizia”, afferma Susan Sontag.
Richard Sennett ricorda che l’Esposizione Universale del 1900 a Parigi fu all’insegna del trionfo dell’industria e dell’impero. Ma in una stradina vicino al Champ de Mars, luogo dell’esposizione, un’organizzazione operaia aveva fatto una contro-esposizione dove si mostrava a quale prezzo il capitalismo aveva ottenuto i suoi prodotti: tute lacerate, indumenti sporchi di sangue, corpi esausti, sfruttamento minorile, condizioni di vita disumane. Una “topografia della povertà” e dello sfruttamento, che contraddiceva la magnificenza dell’esposizione universale. Spettacolo del dolore e miseria reale: sta in questa radicale distinzione il nucleo di conoscenza dell’arte di cui parlava Diderot. Il dramma della disperazione è preceduto dallo psicodramma di quegli artisti che sfruttano il dolore degli altri nella scalata al successo. Il nome degli artisti è noto, quello dei disperati no. Un detto talmudico dice: “Chi fa elemosina in segreto è più grande di Mosè”.
‒ Marcello Faletra
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #49
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