“Gli occhi di Marisa”. Costantino D’Orazio ricorda Marisa Merz
Lo storico dell’arte ricorda l’artista scomparsa lo scorso 19 luglio, ripercorrendo alcuni momenti della sua vita e della sua carriera
Nel 1975 Claudio Abate riesce a far posare Marisa Merz di fronte all’obiettivo, mentre si trova nell’appartamento di Via del Paradiso, dove lei sta allestendo la sua prima mostra personale romana presso la Galleria L’Attico di Fabio Sargentini. Marisa non ama farsi fotografare e infatti Abate la ritrae di spalle, seduta di fronte ad una finestra, ai piedi le sue scarpette intrecciate col filo di nylon e lo sguardo rivolto al cielo notturno.
Sopra i tetti di Roma è appena spuntata una Luna piccolissima.
Per una strana coincidenza, se n’è andata proprio nel giorno in cui tutto il mondo ricorda lo storico sbarco dell’uomo sulla Luna, anche se lei su quel satellite non ci sarebbe mai voluta andare. Preferiva guardarlo con le suole ben piantate a terra, per farsi interrogare e sorprendere dalla sua presenza, ogni notte. Camminava con passo leggero, sfiorando il suolo, come se una danza naturale e spontanea la sollevasse da un luogo all’altro. Occhi solerti e curiosi, Marisa sapeva farsi cogliere di sorpresa dai dettagli: dal raggio di sole che al tramonto disegnava “un angelo di luce” dietro un altare nella chiesa di San Domenico a Torino, dalla mano che i Giapponesi meticolosi imponevano sulla sua testa per evitare che sbattesse all’uscita dall’auto, dalla cura con cui i contadini al mercato di Porta Palazzo liberavano la verdura dalle foglie superflue. Uno sguardo prensile, che si innamorava dei gesti semplici, compiuti con attenzione e cura.
L’ARTE DI MARISA MERZ
A pensarci bene, il suo lavoro nasce proprio da questi movimenti, che acquistano intensità nel loro facile fluire: intrecciare quadrati di rame con i ferri sul grembo, plasmare testine con quel tanto di materia che entra nelle mani, colare cera in una vasca ricavata con fogli di carta piegata sul bordo, dipingere col pennello legato ad un bastoncino per raggiungere punti alti il doppio di lei oppure perdere la vista sopra disegni minuscoli su cui insistere con i polpastrelli. Il pensiero di Marisa ha sempre trovato nelle mani uno strumento docile e fedele, che le permetteva di tornare sulle sue opere infinite volte, anche a distanza di anni. Fosse stato per lei, nessun lavoro sarebbe mai stato davvero concluso. Nelle sue mostre – poche e preziose – ritroviamo spesso gli stessi interventi, rivisti con l’aggiunta di un particolare, sistemati in una posizione diversa, collocati su treppiedi che prima non c’erano o dietro membrane di fili di rame realizzate sul posto.
LA VITA DI MARISA MERZ COME “ATTO CREATIVO”
Costruire una mostra con Marisa era sempre un’esperienza meravigliosa. Non c’era volta che il suo lavoro, pur avendolo studiato e visto mille volte, non acquistasse una potenza nuova e inaspettata. Sentiva gli spazi e sapeva disegnare nell’aria. Quando nel 1970 convinse Fabio Sargentini a noleggiare un piccolo aereo col quale sorvolare l’aeroporto dell’Urbe, Marisa produsse un triangolo nell’aria con la traiettoria del velivolo, dettando a Mario, rimasto a terra, l’altitudine raggiunta progressivamente. Ha toccato dimensioni ciclopiche con gesti minimi. Nel 2009 all’interno della cisterna sotterranea di Villa Pisani (Stra) tracciò col rame un volo di pentagrammi sospesi ad una velocità che sapeva di miracoloso. Riusciva a vedere linee e prospettive nel vuoto, come un pittore che affronta una tela bianca. La sua vita è stata un solo, continuo e unico atto creativo, in cui ha prodotto una quantità enorme di opere, che non ha mai fatto uscire dallo studio. Per timidezza forse, per il desiderio di non privarsene, per la convinzione che fare arte non sia un mestiere, ma un modo di leggere e sentire il mondo, la natura, le persone e la storia. Quanto ancora c’è da scoprire, quanto ancora da capire, peccato che non sarà più possibile attingere alle sue parole, che sapevano aprire squarci improvvisi e seducenti, come i suoi occhi.
– Costantino D’Orazio
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