Pietro Consagra, architetto del “bello”. In mostra a Marsala
Convento del Carmine, Marsala – fino al 20 ottobre 2019. Estetica, etica ed ecologica. È questa l’architettura di Pietro Consagra, in mostra al Convento del Carmine di Marsala.
Inaugurata presso il Convento del Carmine di Marsala, la mostra Consagra, Architettura, a cura di Sergio Troisi in collaborazione con l’Archivio Pietro Consagra e l’Ente Mostra di Pittura Città di Marsala, punta lo sguardo su cinquanta opere: modelli di edifici, progetti di facciate, alcune sculture frontali e dipinti in cui l’artista ripete le sue forme-architetture in maniera modulare.
Pietro Consagra nasce a Mazara del Vallo, da una famiglia povera, nel 1920. Scopre che può guadagnare qualcosa facendo qualche ritratto e lavorando la creta e intraprende la via dell’arte. La sua intelligenza e sensibilità lo portano a Palermo, Roma, Parigi, Venezia, New York, Milano. Renato Guttuso lo introduce agli intellettuali e agli artisti del suo tempo. A Parigi conosce la scultura astratta di Brâncuși e il Cubismo di Picasso. Scopre la “scultura come costruzione“, come l’ha definita Francesco Poli, che partendo dai problemi pittorici legati all’elaborazione del linguaggio cubista predilige la forma del rilievo con visione frontale. La nuova scultura tende ad abbandonare i materiali tradizionali per quelli industriali e poveri. Consagra elabora un suo linguaggio, originale, che si afferma con le sculture frontali presentate alle Biennali di Venezia, con i Colloqui, che includono un dialogo diretto con lo spettatore, oltre che nella forma, anche nel titolo.
Il passaggio all’architettura è in principio suscitato da riflessioni etiche nate dopo il viaggio in America ed è naturale, concettualmente in continuità con i lavori precedenti, perché la sua è già una scultura architettonica, intesa come costruzione in rapporto al pubblico e allo spazio, in alcuni casi percorribile, come le sue celebri “porte”. Porte che non chiudono: annullate nella loro funzione “utile”, celebrano l’estetica, “l’ornamento come aiuto a stare al mondo” (come dichiarò avviando i lavori per la Porta del Belice nel 1977).
LA CITTA FRONTALE
Nel 1959 era stato inaugurato a New York il nuovo tempio dell’arte, quell’architettura cilindrica che aveva sconvolto il mondo: il Guggenheim Museum di Frank Lloyd Wright, con la pittura astratta da Kandinskij a Pollock e le sculture di Brâncuși, Csaky, Arp, Calder, Giacometti e Smith. Lontane le risse romane e le beghe di partito tra figurativi e astrattisti, tutto ormai sembrava possibile: in architettura, pittura, scultura. Al ritorno dagli Stati Uniti, nel 1968, Consagra scrive il libro La città frontale, in cui esprime la sua ribellione contro le architetture che rispondevano soltanto a necessità funzionali e propone la sua idea di città aperta, accogliente, crocevia d’incontri e di bellezza. Aveva capito che l’architettura da sé non esprimeva più una coscienza plastica e cominciò a progettare gli Edifici frontali.
Il 1968 è anche l’anno del terribile terremoto che distrusse la Valle del Belice, con epicentro fra Trapani e Agrigento. Consagra fu chiamato dal sindaco Ludovico Corrao a ricostruire la città di Gibellina insieme ad altri numerosi artisti di fama internazionale, che accorsero attirati dall’utopia della città ideale, ricostruita nel segno dell’arte. “Nacquero così, nel 1968, quei miei edifici che si delineano con piani curvi continui e che, contrastando l’abuso razionalista dell’angolo retto, privilegiano la comunicazione estetica“, racconta. Qualcuno ha definito il Meeting di Gibellina “un edificio trasparente fatto di sole linee ondulate, quasi un’anticipazione a “stiacciato” del Guggenheim di Bilbao” progettato da Frank O. Gehry e inaugurato nel 1997.
Tra un Guggenheim e l’altro si inseriscono i suoi progetti per Gibellina: la Stella (Porta del Belice), il Meeting, il Teatro, le Porte della città di Tebe (scenografia dell’Edipo Re, oggi nella piazza del Municipio insieme a un suo pannello in ceramica dipinta), la scultura Tris, la Porta dell’Orto Botanico, le Porte del Cimitero, le Porte della Fondazione Orestiadi al cui interno vi sono numerose altre sue opere. Gibellina è la sua “città frontale”.
I “GUAI” DELL’ARCHITETTURA
Nel 2001, pochi anni prima di morire (a Milano, nel 2005, per poi essere portato nel “suo” cimitero, a Gibellina, dove aveva progettato la sua tomba), aveva dichiarato: “Quando ho visto l’insopportabile edificio del nuovo Palazzo Comunale, costruito in tempo record nella più bella piazza settecentesca di Mazara del Vallo, mi sembra fosse nel 1983, mi indignai per l’incoscienza dell’amministrazione cittadina. Poi, ripartito per Roma, non riuscivo a disinteressarmi a quel guaio, non me la sentivo di arrendermi, di cedere all’irreparabile. Infine mi venne l’idea di progettare una facciata, traforata da sculture-finestre, da sovrapporre a quella mostruosità. Sono passati quasi vent’anni da quel primo progetto di facciata per Mazara… tempo fa l’ho ancora elaborato e l’ho esposto nella mia mostra personale a Darmstadt, nel 1997. In quella occasione, il direttore del museo tedesco ha fatto realizzare al vero due piani alti 11 metri. Non so se a Mazara si stia per realizzare la facciata. L’alien è ancora ben in vista“. E lo è tutt’oggi. Nella stessa intervista, rilasciata a Paola Nicita, alla domanda “Quale opera le piacerebbe poter realizzare in Sicilia?” risponde ancora: “La Facciata di Mazara, il cui progetto è stato ammirato in tante esposizioni internazionali e costituirebbe un grande evento, oltre a essere un intervento stimolante ed esemplare di una ecologia non distruttiva“. Chissà, forse si potrebbe riparlarne nel 2020, per il centenario dalla nascita.
‒ Mercedes Auteri
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