Renato Barilli ricorda Marisa (e Mario) Merz: la poetica e le opere

Un ricordo di Renato Barilli dedicato a Marisa Merz, con un articolo che il critico d’arte scrisse nel 2016. L’occasione, la mostra al Macro di Roma che raccontava il lavoro di Mario e Marisa Merz, recentemente scomparsa a Torino

Va notato che ancora sul finire del secolo scorso la presenza delle donne nell’arte era ferma a proporzioni ridotte, in fondo tra gli undici della compagine poverista, solo lei, Marisa Merz, rappresentava l’altro sesso. Non si dà coppia più antitetica, ma in definitiva felicemente collaborante di Mario e Marisa. Mario aveva un’intelligenza limpida, razionale, il che lo aveva portato a trovare il suo bene in una serie numerica ideata, addirittura nel lontano ‘200, dal matematico Fibonacci. È una serie ogni cui numero risulta dal raddoppio dei due precedenti, il che delinea una curva a spirale, perfetta per amministrare una infinità di fenomeni, fisici, organici, antropologici, architettonici. Si aggiunga che Mario si era presto impadronito del ricorso ai tubicini del neon, però non nella versione minimalista di Dan Flavin, bensì in quella arricciata, biomorfa, promossa da Bruce Nauman, e del resto genialmente anticipata dal nostro Lucio Fontana.

LA SERIE DI FIBONACCI

Pertanto, i numeri della serie Fibonacci venivano da lui scanditi con l’aiuto di un neon molle e corsivo. Merz sapeva applicare la magica formuletta anche ai ripiani dei tavoli, portandoli ad allungarsi, sinuosi, avvolgenti, e questi forniscono un ottimo punto d’appoggio per le creazioni di Marisa, che invece sono minute, ultra-sensibili, come fantasmi sfuggenti. Tra i due momenti si dà una collaborazione che ci ricorda arcane favole infantili, come quella del delfino benevolo che porta in salvo sul suo dorso fragili creature che gli si affidano. Così pure Merz regge, benevolo e protettivo, i palpitanti embrioni concepiti da Marisa, che del resto non intende affatto cancellare la sua femminilità. In fondo non disdegna di valersi dell’uncinetto, ma a patto di stendere preziosi ricami in biondo filo di rame. E magari si cuce pure fragili scarpette, e beninteso, come Cenerentola, le semina per strada, sulla spiaggia di Fregene, o in un luogo aristocratico come Villa Medici.

LE TRACCE DI MARISA

Magari nella fretta di andarsene dimentica anche un violino, lascia insomma dietro di sé tracce vistose, tanto che un astuto Pollicino le potrebbe inseguire. Sono tracce che portano in tutte le sedi del migliore sperimentalismo romano dove i due si davano appuntamento per realizzare la loro “concordia discors”, e viceversa, come lo stanzone in cui, dopo il rivoluzionario ’68, Fabio Sargentini ospitava gli eventi più strepitosamente “aperti” ed eversivi, riparando in seguito in una elegante suite di vecchia borghesia nel cuore della città, le cui pareti risultavano del tutto adatte a venire delicatamente visitate, incrostate dai fantasmi di Marisa, che vi penetravano in punta di piedi. Mario la attendeva fuori, al largo, nel suo impulso a fare sempre più grande nello spazio. Eccellente nella tessitura con filo di rame o nella modellazione di embrioni, di feti nati anzi tempo, forse Marisa diviene più incerta, meno condivisibile, quando tenta le vie della pittura, meglio che in lei si confermi la magia di chi soffia nella creta per darle nuova vita.

– Renato Barilli

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Renato Barilli

Renato Barilli

Renato Barilli, nato nel 1935, professore emerito presso l’Università di Bologna, ha svolto una lunga carriera insegnando Fenomenologia degli stili al corso DAMS. I suoi interessi, muovendo dall’estetica, sono andati sia alla critica letteraria che alla critica d’arte. È autore…

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