All’alba dell’arte relazionale. Cesare Viel a Milano
PAC, Milano ‒ fino al 1° dicembre 2019. Punto di riferimento dell’Arte relazionale italiana, Cesare Viel è il protagonista della mostra allestita al PAC di Milano.
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Può sembrare un titolo malinconico, disperato. Eppure, Più nessuno da nessuna parte evoca una solitudine positiva, una pausa necessaria in mezzo a una rete di relazioni senza fine. Si apre così la retrospettiva di Cesare Viel (Chivasso, 1964). Una selezione di lavori passati e ora riattivati oppure recenti (oltre all’inedito Il giardino di mio padre. Gli oggetti sotterrati) si distribuiscono in dieci piccoli “ambienti”. Un punto di arrivo cruciale per un artista che è stato un caposaldo dell’Arte relazionale italiana degli Anni Novanta.
All’ingresso, quasi a ostacolare il passaggio, si erge il gigantesco parallelepipedo di fieno al quale è appoggiata una scala, un oggetto surreale che ha la dimensione del sogno. Si tratta di Lost in Meditation, tratto dal ricordo d’infanzia di un Viel bambino, che nelle campagne venete voleva scalare la cima di quel cumulo senza poterlo fare (a impedirglielo era suo nonno, contadino, che non intendeva rovinare ore di lavoro). È lì che parte il tema della memoria, che per l’artista significa la trasposizione nel presente di qualcosa che è accaduto nel passato, senza esaurirsi. Un racconto biografico che non coincide con una vita sola, bensì con vicende ricorrenti nell’esistenza (la morte dei genitori, la costruzione di una relazione d’amore) e che possono diventare assunto universale.
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Cesare Viel, Esterni di sé, 1998
VOCE E PAROLA
Due elementi ricorrono in tutta la mostra: la voce e la parola. Racchiudono un sentire intimo (come in Aladino è stato catturato, la performance fatta nel 2000 a Pescara in cui l’artista si chiudeva in una gabbia di legno prendendo appunti e leggendo tarocchi) oppure un’impulsività incontrollabile (in Seasonal Affective Disorder del 1998 Viel alterna alle parole pause di riflessione e gesti improvvisi, come truccarsi, spostare le carte sul tavolo, specchiarsi). Ma ci sono anche numerosi tributi a figure ispiratrici di tutti i tempi, incanalate in una relazione umana e personale. Come Gertrude Stein, considerata dall’artista un riferimento culturale essenziale e alla quale dedica un omaggio alla sua profonda capacità di impiegare la scrittura come mobilitazione di stimoli e riflessioni: ecco che, nella stanza a lei dedicata, si stagliano tre pietre, su una delle quali poggia The Making of Americans.
Le opere sono spesso accompagnate dalla sua voce, che echeggia nella stanza: “Di questa mostra ognuno farà un’esperienza diversa, dando un personale contributo”, afferma Viel. “Per me sarà sicuramente un’occasione per ricominciare tutto da capo. Perché non si finisce mai di ricominciare!”.
‒ Giulia Ronchi
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