Conquistando luce (I)
Una conversazione telematica fra Christian Caliandro e Laura Cionci, all’insegna del neovernacolare e della produzione artistica contemporanea.
“You can blow out a candle
But you can’t blow out a fire
Once the flames begin to catch
The wind will blow it higher”
Peter Gabriel, Biko
(Peter Gabriel III, 1980)
Christian Caliandro
a Laura
Cara Laura,
come stai? Ecco qui un bellissimo aneddoto neovernacolare che ho appena trovato :)
Un abbraccio e a presto,
c.
Pochi giorni prima di essere assassinato, Paolo Borsellino incontrò lo scrittore Luca Rossi, cui raccontò diversi aneddoti della sua esperienza professionale, fra i quali uno riguardante degli accertamenti che insieme a Falcone aveva condotto in merito ad alcune delle rivelazioni di Tommaso Buscetta, che aveva descritto minuziosamente la villa dei cugini Salvo. Tale descrizione, cruciale per attestare l’attendibilità del teste (e ancora più cruciale dato il ruolo assai rilevante che quest’ultimo stava acquisendo nell’azione complessiva del pool, che su questo spendeva la sua credibilità operativa), parlava di un grande salone che aveva al centro un grande camino. Durante il sopralluogo nella villa, però, quasi tutto corrispondeva al racconto del pentito, meno che il camino, che non c’era.
Falcone allora, guardando costernato Borsellino, fece il gesto della pistola alla tempia e gli disse “adesso possiamo spararci tutt’e due”. La discrepanza poteva infatti, in rapida successione, rendere inattendibile il teste, privare l’impianto dell’indagine di uno dei suoi tasselli centrali, esporre l’intero pool alle accuse già ventilate di approssimazione professionale o, peggio, di intenti persecutori nei confronti di cittadini estranei ai fatti.
Borsellino avvicinò il custode della villa e, dopo averci chiacchierato di cose insignificanti, a un certo punto gli chiese per curiosità cosa usassero per scaldarsi d’inverno. Il custode rispose: “Col camino. Ma d’estate lo spostiamo in giardino“.
Laura Cionci
a me
Caro Christian,
stupendo. Non può che svegliare in me la coscienza vibrante di come stare al mondo in questo momento.
Niente è come sembra, finché non ci si addentra nel più semplice dei modi, con l’atto di esserci e di relazionarsi con la realtà, con l’altro. Continuamente.
Tutta questa sicurezza di essere e di sapere che ci circonda, senza neanche avvicinarsi al profumo del sottoscala, senza accompagnare il portone alla vicina di casa, senza parlarsi da finestra a finestra, senza (ormai poter) entrare nel giardino accanto per presentarsi di persona.
Dove si trova ora quel tempo, un tempo spendibile nel riconoscere? Dentro i nostri apparati elettronici suppongo. La realtà supera sempre la fantasia, ma allora come non cercare continuamente riscontro con essa per meravigliarci? Perché vivere certi e predicare le certezze? Perché insistere nell’etichettatura, nella riconoscibilità, nella falsa sicurezza che ci rende il sonno profondo e apparentemente tranquillo?
Come da un lato, tutto si espande senza controllo e la teoria “inequivocabile” non viene avallata da una sperimentazione, da più prove che ne certifichino l’effettiva, seppur sempre momentanea, veridicità, dall’altra l’ibrido, lo sconosciuto, l’inclassificabile non si arresta. Trasforma e si adatta, cambia, si deforma e quando si pensa abbia un nome e un luogo, subito, di nuovo, cangia. Ed è ciò che sopravvivrà, che si adatterà e che, forse a brandelli, arriverà dall’altra parte.
Un film mi sale alla mente, subito dopo aver letto questo aneddoto: Labyrinth ‒ Dove tutto è possibile. Uno dei film più neovernacolari di sempre per me.
Ogni momento Sara è continuamente messa di fronte al fatto che non può dare per scontato quello che vede o quello che le viene detto, se vuole arrivare al castello e salvare suo fratello.
In questa clip anche un verme ha il potere enorme sulle decisioni di Sara e sull’andamento della storia. “Niente è come sembra in questo posto, perciò lei non può dare niente per scontato“.
Credo che la questione, il nocciolo, sia nel COME avvicinarsi alla realtà per toccarla. Cosa sceglierai di dire, con chi vorrai parlare, che modalità di ascolto avrai, che luogo troverai, quale contesto, per vivere la realtà che più si avvicina a quella che hai dentro. Perché, si sa, una volta vista quella di realtà, ce ne sono altre cento parallele e ognuna di loro ha un verme che vuole farti prendere una tazza di thè con la sua signora.
Christian Caliandro
a Laura
Cara Laura,
quando mi hai mandato la scena di Labyrinth, e quando poi l’ho vista, me la sono improvvisamente ricordata in tutta la sua potenza: quando lei scopre la strada alternativa, le realtà parallele che si aprono dentro e oltre il muro, è in effetti un momento molto potente che dice tante cose a noi ora (permesso tra l’altro dalla nuova tecnologia ‘elettronica’ dell’epoca, esplorata in primis non a caso dai videoartisti)… e, come ti dicevo, io non so perché associo istintivamente Labyrinth a un altro film a cui sono molto affezionato, Return to OZ: forse perché li ho visti entrambi negli stessi anni, forse perché l’atmosfera e lo stile li accomuna, forse perché ci ritrovo quei temi che poi sono diventati anche i miei (la post-apocalisse, la perdita, la nostalgia, il mondo nuovo che inizia, ecc.). Questa scena in particolare, in cui Dorothy incontra i wheelers, mi è sempre sembrata potente:
e pure questa qui:
sì, sia Labyrinth che Return to OZ sono sicuramente delle anticipazioni del neovernacolare (anglosassone, però). Per i migliori artisti neovernacolari italiani questa faccenda della realtà è assolutamente centrale: come dici tu, “niente è come sembra”, “tutto si espande senza controllo” e ‘‘inclassificabile non si arresta”.
mò resta solo da capire come tutto questo si tradurrà nelle opere dell’immediato futuro. ;) (m’hai detto cotica…)
grazie e a presto,
un abbraccio,
Laura Cionci
a me
Caro Christian,
se gli stimoli sono questi, non ci dovrebbero essere problemi nella produzione delle opere!
A ogni modo penso che avendo come fonte primaria la realtà che viviamo, non ci sia da tradurre troppo o da rielaborare o digerire.
Il neovernacolare è come un vecchio alimento molto semplice, quotidiano e che non tramonta mai: pane, olio e sale. Sono i soli tre ingredienti che fanno la differenza, la loro qualità, l’origine, le radici e l’amore con cui sono stati fatti nascere.
Bisogna rimanere “puri e semplici”, questo credo sia la cosa più difficile da fare ora, in assoluto.
Un abbraccio.
‒ Christian Caliandro
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