Henrik Strömberg rilegge Gutai. A Napoli
Palazzo Spinelli di Tarsia, Napoli – fino al 31 gennaio 2020. L’artista svedese Henrik Strömberg crea un nuovo vocabolario di significati con scenografie di oggetti e immagini.
La Fondazione Morra apre le porte del raffinato Palazzo Spinelli di Tarsia, nel cuore di una Napoli spontanea e genuina, per una mostra di respiro internazionale in perfetto accordo con la visione del suo fondatore Giuseppe Morra, esperto illuminato e appassionato d’arte contemporanea a cui si deve, fin dagli Anni Settanta, la prima presenza in Italia di alcuni degli artisti più interessanti della scena internazionale.
La scelta di accogliere Henrik Strömberg (1970), artista svedese trapiantato a Berlino, nella mostra Refraction of lightness/Rifrazione di luce anticipata da una residenza artistica a Casa Morra, sotto la curatela di Chiara Valci Mazzara, ormai da anni sulla scena berlinese, e di Loredana Troise, autorevole portavoce del contemporaneo della Fondazione, non smentisce e anzi ribadisce il ruolo chiave della Fondazione Morra sul territorio napoletano, nazionale e internazionale per una ricerca non convenzionale volta al dialogo con il territorio, nel progetto del Quartiere dell’Arte, e con una coralità di esperti e appassionati che ha visto l’ulteriore coinvolgimento dello storico Laboratorio Avella, e di Gianluigi Prencipe, maestri della serigrafia.
PER UNA NUOVA SEMANTICA DELL’OGGETTO
In un momento storico di “dittatura dell’oggetto”, Henrik Strömberg riporta al centro della riflessione l’elemento nella sua presenza e assenza di fisicità resa nella poetica e metafisica coesione di differenti media che spostano il baricentro del significante nell’osservazione di nuovi significati. La bidimensionalità di ritagli di negativi e di frammenti fotografici in serigrafie realizzate al Laboratorio Avella, che escono dalla percezione del dettaglio, abolendo i confini del passpartout, flirta con presenze tridimensionali, ventri trasparenti quali eco dei vasi pompeiani, che accolgono giornali bruciati come memorie consumate, mentre assumono enigmatiche posture quasi fossero vive presenze antropomorfe.
Nel minimalismo della visione, in sintonia con l’eredità dei rayogrammi e dell’object trouvé, Strömberg crea un ambiente immersivo in cui la luce e le sue infinite scomposizioni innescano un’inversione di tendenza che muta i significati e apre nuove prospettive interpretative, avvolgendo lo spettatore in un flusso inconscio che scatena interrogativi e sistemi percettivi altri, sconvolgendo il comune senso dell’oggetto.
Le evanescenti immagini in bianco e nero e i relitti di pellicola su grandi tele che disegnano quinte scenografiche accolgono la concitazione dell’atto creativo nelle forme primigenie, quasi totemiche del vetro che, nel silenzio della presenza, sembrano frutto di un impeto intellettivo che riecheggia nei segni lasciati dal gesto sulle tele Gutai di Shōzō Shimamoto, in permanenza a Palazzo Spinelli di Tarsia.
Gli oggetti di Henrik Strömberg sono elementi fondanti di un linguaggio che si eleva a forma e contenuto, segni morfologici di un’altra semantica in un gioco di equilibri percettivi.
‒ Eloisa Saldari
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