La quarta notte di quiete: SCARTI

“La quarta notte di quiete: SCARTI” è la nuova edizione di una ‘non mostra’ che identifica l’arte con la vita quotidiana, con interventi di artisti mid-career, giovani e giovanissimi in spazi ed esercizi commerciali di Veronetta.

Dopo la prima edizione nel 2016 nell’ambito della sezione i7 spazi indipendenti, la seconda nel 2017 che ne ha visto l’inserimento all’interno degli eventi off di ArtVerona e la terza nel 2018, che ha sancito l’inclusione nel programma di artisti giovanissimi da tre Accademie italiane, quest’anno La quarta notte di quiete (realizzata in collaborazione con la fiera d’arte contemporanea ArtVerona) proporrà gli interventi di undici artisti in dieci sedi. Alessandro Bulgini, Laura Cionci, Iginio De Luca, Giuseppe De Mattia, Serena Fineschi ‒ i quali già lavorano autonomamente e da anni, in modi diversi, nella direzione del rapporto tra arte e spazio urbano –, giovani autori (Rebecca Moccia, Simona Andrioletti, Michela Tannoia) e giovanissimi, alcuni dei quali quasi al loro esordio pubblico (Bruno Lovato, Davide Monteseno, Rita Valentino), si inoltreranno quest’anno nel fantastico quartiere di Verona.
L’anno scorso, subito dopo La terza notte di quiete, scrissi sul magazine di Artribune (Appunti a conclusione di un progetto, n. 46, novembre-dicembre 2018, p. 12): “Vivere la trasformazione in maniera tumultuosa – esserne travolti, sopraffatti – mentre vuoi gestire il processo, il processo ti agita e ti agisce perché è un’onda, è un sistema organico che cresce costantemente e mentre cresce ti cambia, ti sta cambiando, stai cambiando e tutto si riflette nella percezione degli altri, negli occhi e nelle esperienze degli altri – se ne accorgono, sono parte di ciò che sta accadendo e che si è attivato, subito e in lontananza, sulla distanza – (…) questo brillare vero e proprio della realtà attraverso l’arte, l’arte che si nasconde e si inoltra e poi illumina la vita quotidiana, essendone illuminata a sua volta. Il popolare inteso come vernacolare ha questa funzione, in fondo: riconnettere i territori, riconnettere le percezioni, fare in modo che le distanze vengano colmate”.
È ormai un po’ di tempo che curo questo tipo di progetti – oltre a La notte di quiete, Opera Viva Barriera di Milano a Torino per la fiera Flashback e Matera Alberga con Francesco Cascino per Matera 2019 – e finalmente sto arrivando a capire che non devi “esporre” niente (: non è una mostra). Deve essere, genuinamente, QUELLO CHE È. Il contesto e la realtà sono tutto. Lo spazio-tempo esistenziale è l’unica carta da giocare, il terreno autentico di ogni sfida ‒ mentre esporre vuol dire in fondo barare, fingere. L’unico luogo in cui un’opera può davvero “funzionare” è quello della vita quotidiana, individuale e collettiva, perché non è un luogo.

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Simona Andrioletti, Fix me, 2019

Simona Andrioletti, Fix me, 2019

E quindi questo tipo di progetti artistici calati nel territorio e nei quartieri, realizzati e sviluppati negli spazi urbani, concepiti e portati avanti insieme alle comunità, partono sempre dal presupposto che l’opera non sia una monade ma sempre una relazione. Una relazione umana, basata sullo scambio vitale, e non una cosa morta inutile messa lì a prendere polvere e a sbraitare “eccomi, mi vedete, sono qui, sono io, sono qui!”.
Lo scopo dell’opera – e dell’artista; e anche del curatore, se è per questo ‒ non è farsi notare, ‘mettersi in mostra’, esibirsi, ma è quello di favorire e sostenere dei processi. Che a sua volta non è una faccenda retorica, fondata sull’uso ossessivo di parole-chiave e formulette; è invece una questione molto pratica, che implica la conoscenza diretta delle persone e dei tessuti urbani, la capacità di stringere rapporti, l’amore per il genere umano, l’assenza di cinismo e la passione smodata per gli aspetti più strani, affascinanti e irrisolti che una realtà cittadina ha da offrire.

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Queste opere sono costantemente e completamente disponibili nei confronti dell’esistente: il loro linguaggio non si basa infatti sulla reiterazione e manipolazione di un codice che è sostanzialmente estraneo alla vita di tutti i giorni, riferito solo e soltanto alla storia dell’arte degli ultimi decenni, ai suoi sottogeneri e alle sue rielaborazioni; ma piuttosto si riferisce direttamente alle esigenze profonde della realtà quotidiana, allo spazio di esistenza – fino quasi a rendersi indistinguibile da un oggetto di uso comune. È proprio in quel ‘quasi’ che, molto probabilmente, risiede l’opera.

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Iginio De Luca, Lavami, 2010

Iginio De Luca, Lavami, 2010

Opere, mostre, progetti e testi fatti di rumore bianco, cioè di quello che normalmente non c’è, che si scarta; di spazi vuoti, di pause e momenti non-narrativi, non-finzionali.
Essere dentro la cosa, dentro se stessi, dentro l’opera e dentro la situazione.
Essere dentro (la propria esistenza).
Allontanarsi progressivamente dal territorio della rappresentazione, con i suoi codici le sue regole le sue restrizioni; allargare ed espandere i momenti comuni, di vita quotidiana, i silenzi, le pause, le riflessioni. Fare racconto con il tempo che non si racconta più, o non ancora.
Un’opera composta solo di RUMORE, silenzi, divagazioni, meditazioni, viaggi fisici e mentali, salti, riflessioni narrative, considerazioni sul presente, ricordi, frammenti emotivi e umorali, la tua visione del mondo.

Christian Caliandro

[Parte di questo testo è pubblicata nel catalogo di ArtVerona 2019; “La quarta notte di quiete” si terrà dal 10 al 12 ottobre nel quartiere di Veronetta, in via XX Settembre e in via San Nazaro, dalle 19.30 alle 24. L’info point sarà The Hostello, via XX Settembre 80.]

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Christian Caliandro

Christian Caliandro

Christian Caliandro (1979), storico dell’arte contemporanea, studioso di storia culturale ed esperto di politiche culturali, insegna storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. È membro del comitato scientifico di Symbola Fondazione per le Qualità italiane. Ha pubblicato “La…

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