Nel mondo di Marisa Merz. A Lugano

Alla Collezione Olgiati, quattro sale allestite come una partitura riassumono il percorso creativo di Marisa Merz. Tra concetto e lirismo, durezza ed empatia. Una piccola sfilata di capolavori in perfetto dialogo tra loro.

Quattro sale che valgono come un’intera retrospettiva: la mostra che la Collezione Olgiati dedica a Marisa Merz (Torino, 1926-2019) contribuisce con decisione alla rivalutazione in corso dell’artista, troppo a lungo sottovalutata. Lo spettatore viene immerso nell’atmosfera delle sue opere, accostate senza soluzione di continuità e senza preoccupazioni cronologiche: l’allestimento è composto come una partitura, con pause di silenzio e ritmi più intensi.
Geometrie sconnesse palpiti geometrici, recita il titolo: a sottolineare il contrasto, la collisione risolta armoniosamente tra razionalità e poesia, tra solidità concettuale e impreviste aperture liriche. E si tratta anche del primo omaggio postumo, dato che l’artista è scomparsa poco prima dell’apertura, dopo aver contribuito attivamente alla costruzione del progetto.

DIALOGO SERRATO

La prima sala accosta durezza e malleabilità: il metallo del tavolo e la paraffina del violino dell’installazione del 1994; la lastra di ferro su cui compare un volto spettrale eppure tangibile; il rame esile, lavorato a maglia come fosse filo della rara installazione a parete del 1979.
Si sviluppa poi un continuo dialogo intenso tra linea e volume, tra disegno e scultura, nella maggior parte dei casi fusi e indistinguibili. Le piccole teste, tra i lavori più celebri dell’artista, sono ogni volta un capolavoro di cinismo ed empatia, in cui il tragico si diluisce in connotati tanto imprevisti e parziali da suscitare identificazione emotiva.
I grandi dipinti dal taglio “espressionista” realizzati di recente sorprendono invece per il tono acceso e squillante, per lo sviluppo verticale e per l’imponenza. Uno dei gioielli della mostra, poi, è la parete di piccoli disegni/assemblaggi, rielaborazioni ipotetiche del volto umano che in alcuni casi toccano inaspettati toni parodistici.

Marisa Merz, Senza titolo, s.d. © Renato Ghiazza. Collezione dell'artista. Courtesy Gladstone Gallery, New York Brussels

Marisa Merz, Senza titolo, s.d. © Renato Ghiazza. Collezione dell’artista. Courtesy Gladstone Gallery, New York Brussels

UN PROGETTO ANTILINEARE MA COERENTE

La datazione non era importante per Marisa Merz e può essere ricostruita solo sommariamente; le quarantacinque opere esposte sono tutte senza titolo. E le appartenenze sono altrettanto sfumate: tratti che sarebbero riconducibili a un periodo della storia dell’arte del Novecento compaiono in anni del tutto differenti, nel suo percorso. Eppure, la successione antilineare delle opere dà l’idea di un progetto complessivo in parte imperscrutabile ma più che coerente, nettamente percettibile attraversando la mostra.
In tale progetto, il poverismo è vicinanza concreta al fenomeno umano; il lirismo è coscienza della natura transitoria dell’individuo, ma non è affatto uno spunto antipolitico o antistorico. Nelle slabbrature, nelle sfrangiature risiede il vero fulcro espressivo dei lavori dell’artista. Imperfezioni calcolate, svolte improvvise in una forma che rimane perennemente aperta, malleabile, dialettica.

Stefano Castelli

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Stefano Castelli

Stefano Castelli

Stefano Castelli (nato a Milano nel 1979, dove vive e lavora) è critico d'arte, curatore indipendente e giornalista. Laureato in Scienze politiche con una tesi su Andy Warhol, adotta nei confronti dell'arte un approccio antiformalista che coniuga estetica ed etica.…

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