Rituali barocchi. Evgeny Antufiev a Napoli
Chiesa di San Giuseppe delle Scalze Corrose, Napoli – fino al 27 ottobre 2019. Ritualità, passato e presente convivono nelle installazioni scultoree di Evgeny Antufiev, in mostra a Napoli.
Ambivalenti, in decomposizione, o in morfogenesi: le sculture di Evgeny Antufiev (Kyzyl, 1986) sono l’immagine della decadenza in sé. Era di fine o incubazione del futuro?
Squame di terracotta emergono da esseri mostruosi, metà citazione di gargouille gotiche, e metà alieni da pellicole pop di fantascienza. Tessere di mosaico disegnano memento mori contemporanei di pompeiana memoria. Scomposizione e ricomposizione di cellule da manipolazioni genetiche, citazionismo post-avanguardistico e odierni pixel di pietra, assonanti la parcellizzazione di mille elementi riassorbiti in unico bagliore dei mille coriandoli dorati sparati nell’azione performativa dell’opening: un assolo di una cantante lirica che, col recitar cantando di un testo scritto dall’autore, intonava un lamento alla finis mundi.
CULTURA ALTA E BASSA
Gli ori della secessione viennese, cantori della finis Austriae, infatti, incombono, come il fondo metafisico delle icone delle origini russe dell’autore. Sintonica formalizzazione della natura stessa del luogo ospitante, la Chiesa delle Scalze di barocco e mistico fascino ora in declino, sospesa tra morte e vita. E così, nel rimescolamento di cultura alta e bassa, passato e presente, si svela il reale carattere dell’arte di Antufiev: la creazione di una esperienza immersiva, sospesa tra stordimento wagneriano e narrazione cinematografica, in cui gli elementi scultorei o installativi vanno scovati come in devoto pellegrinaggio. Dopo però la “santificazione” dell’opening, vera e propria celebrazione rituale teatrale-sacrale. Non a caso consumatasi sotto i vacui occhi di una gigantesca maschera dorata antropomorfa: totem e tabù di un’umanità che, in fuga da sé, finisce però, nella corsa al lusso e potere, per santificare solo se stessa.
‒ Diana Gianquitto
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