L’ammutinamento di Gianni Colosimo. A Torino
Riccardo Costantini Contemporary, Torino – fino al 16 novembre 2019. Lascia spazio e parole all’opera Gianni Colosimo. Protagonista di una mostra che parla di proprietà privata e ammutinamento.
Preciso, puntuale, spirituale. Si scomodano i grandi della storia dell’arte per commentare la mostra di Gianni Colosimo (Santa Severina, Crotone, 1953), Ammutinamento, negli spazi di Riccardo Costantini Contemporary a Torino. Un’esposizione indimenticabile, apice della carriera dell’artista, che intreccia i frutti di una lunga e avventurosa ricerca – dalla performance negli Anni Ottanta alle installazioni estreme, tra cui la celeberrima Wallpaper, dove tappezzò l’intera galleria Pack di Milano con 100mila biglietti da un dollaro, citata perfino da Cattelan – con la somma di suggestioni, esperienze e vicissitudini che hanno costellato per anni l’ambiente intellettuale torinese.
L’esposizione sorprende per la sua pulita e serena eleganza; una raffinatezza tecnica che l’artista ha raggiunto, come suo solito, un po’ per meditazione e un po’ per gioco (che, per Gianni, sono due facce della stessa medaglia): lo spazio della galleria è tappezzato di 120 cornici che custodiscono i vetri con la dicitura “proprietà privata” riportata in circa 45 lingue diverse. Le opere-cornici rifiutano la funzione di puro manufatto estetico, vere e proprie finestre che si spalancano concedendo uno sguardo critico sulla società dello spettacolo e dello “show” delle mostre contemporanee.
PAROLA ALL’ARTISTA
“‘Proprietà privata’ è il segnale che rappresenta l’elemento cardine della società capitalistica e del pensiero liberista. È curioso che io utilizzi tale concetto per proporre un gesto di rivolta, un ammutinamento, una rivoluzione. Mi piaceva il gioco di parole”, dice Colosimo.
Ammutinamento espone opere che si affrancano dall’autore, dal pubblico e dall’attuale meccanismo economico dell’arte: opere caratterizzate da autonomia vitale, che non vogliono sottostare al giogo imposto dall’odierno sistema delle mostre.
“Ho provato a immedesimarmi nell’opera stessa. Ho smesso di fare l’artista produttore di opere d’arte per interpretare, come un attore, l’opera medesima. Mi sono calato brechtianamente nei panni dell’opera d’arte per darle vita e personalità, cercando di interpretare la sua inquietudine psicologica, politica e morale. Prendendo confidenza con l’opera, però, mi sono accorto che era un soggetto pigro e riluttante a mostrarsi. Anzi, non aveva nessuna voglia di apparire! Sentivo che si domandava perché dovesse alimentare o inquinare con la sua presenza la Babele delle immagini di oggi. Dopo un percorso di meditazione e di fallimenti, si è resa conto che per manifestare la propria indole iconoclasta era sufficiente ridursi a una cornice e a un vetro sul quale inserire il segnale più controverso della storia umana: proprietà privata. ‘Privandosi’, appunto, della sua soggettività estetica, l’opera (e io con essa), si inabissa nell’antimateria per farsi cullare dal nulla sempiterno. È così che è iniziato il suo e il mio Ammutinamento Estetico”.
TORINO CONVIVIALE
Chiunque viva a Torino e lavori in ambito culturale, prima o poi, se ritenuto abbastanza interessante, capiterà a casa di Colosimo. La premessa non è sintomo di mondanità spiccia, anzi: l’artista pare tentare ogni volta, con i suoi commensali, una sorta di esperimento sociale. Ci si sente cavie di un’indagine di indispensabile civiltà e convivialità; e ciascuno, in cuor suo, non può non sentirsi coinvolto e affascinato. Forse, allora, Ammutinamento è anche il resoconto di pose, atteggiamenti, discussioni e riflessioni di una società che, ritenendosi elitaria, afferra l’effimero pur di non voltarsi a misurare la propria ombra; ma è anche la sintesi dell’affetto e della stima ricevuti in questi anni – che culminano, ovviamente, nella collaborazione con Luisa Bruni, artista e compagna di Colosimo. Un epilogo che ha già proiettato l’artista nella Storia.
“Un fatto curioso: in fase di allestimento della mostra, la prima opera che ho realizzato si è letteralmente ammutinata. Durante il trasporto in galleria la cornice si è danneggiata e, mentre io e la mia assistente tentavamo di restaurarla, il vetro si è frantumato in mille pezzi. Era il segno esplicito della sua ribellione, della sua volontà di non mostrarsi. A questo punto non restava altro se non rendere manifesta la sua volontà di ribellione di ammutinamento ed esporla a tutti voi con le sue ferite”.
‒ Federica Maria Giallombardo
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