Oltre il confine del reale. Huma Bhabha a Roma
Gagosian, Roma – fino al 14 dicembre 2019. Scienza, filosofia, chimica, tecnologia. Tutte queste discipline concorrono alla definizione multidirezionale di “The Company”, prima mostra romana dell’artista pakistana Huma Bhabha. Nella cibernetica fisicità di personaggi senza tempo, sculture e disegni su fotografie, il meccanico si contrappone e si fonde al naturale.
Huma Bhabha (Karachi, 1962; vive e lavora a Poughkeepsie) incarna la tecnologia. Attinge dalle suggestioni di una scienza e di un’arte creatrici, cerca l’intonazione giusta per la fusione di materiali diversi, per rendere la forza della metamorfosi. Ogni opera, ogni figura, è un piccolo saggio per ripercorrere a proprio piacimento la storia di antiche civiltà o le atmosfere vintage di pellicole sci-fi. Già dall’esterno della galleria è impossibile non notare l’imponente massa in bronzo di Receiver (2019), il primo della processione. La visione ravvicinata non dirime i dubbi, alieno atterrato in via Crispi dallo spazio profondo o idolo di una popolazione sconosciuta, frutto di uno scavo clandestino e mai pubblicato? In questa alchimia tra passato e presente, tra molteplici riferimenti artistici e legami imprevisti – come la combinazione di sughero antico e polistirolo postindustriale – risiede il fascino di opere sapienti, per le quali diventa superfluo chiedersi quanti o quali elementi le differenzino. È possibile individuare nelle loro fattezze una continuità con la cultura antropologica e iconografica dell’artista, ma è la sua capacità risolutiva a rendere quelle condizioni di partenza uno sfondo tanto originario quanto distante.
LA LOTTERIA DI BORGES
Tra percezione e immaginazione, tra fisico e metafisico, il tema ispiratore è La lotteria di Babilonia, racconto di Jorge Luis Borges. Il gioco a premi determina la vita degli uomini, è obbligatorio ed esteso a ogni evento della vita. Elargisce doni ai fortunati e danni agli sfortunati: ferite, prigione, morte. Ogni aspetto dell’esistenza è soggetto al caso e al caos, sotto il controllo possibile di un’indecifrabile e amorfa Compagnia organizzatrice. Nella grande sala ellittica di Gagosian, Huma Bahbah ne offre i ritratti tridimensionali. Astanti in sughero e styrofoam, splendenti di nero e colori pastello, sacri e intoccabili. Ogni creatura implica la contaminazione, contempla gli innesti, presuppone l’ibridazione, fa dialogare il naturale con l’artificiale. È restituita allo sguardo l’unità delle parti, il piccolo e il grande, il sotto e il sopra. I tecnototem offrono il senso di una suggestione creativa composita, armonia di fantascienza e archeologia. Huma Bhabha indaga gli strumenti meccanici e i loro processi costitutivi, li trasforma nella composizione di nuove forme ibride, li riveste di un’inquietante e dispotica autorevolezza. Deumanizzati, negativi e alienanti, controllano le estrazioni. Con un certo senso di paranoia, qualcuno non esclude che una situazione del genere sia già in essere.
‒ Raffaele Orlando
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