Terræ Motus. Geografie e storie dell’Italia fragile. Mezzo secolo di terremoti in mostra a Matera
Una mostra che racconta 50 anni di terremoti in Italia, dal Belice al Centro Italia. E che invita a prendersi cura del Bel Paese
Gli amanti dell’arte scoveranno immediatamente il riferimento alla famosa collezione creata dal gallerista Lucio Amelio all’indomani del terremoto che negli anni ’80 colpì rovinosamente l’Irpinia. Da allora la storia contemporanea dell’Italia è stata afflitta da numerosi sismi. Evento spartiacque, per le enormi conseguenze sul territorio e la portata dirompente nell’immaginario collettivo, è senz’altro il terremoto de L’Aquila, dal quale ormai sono trascorsi dieci anni, seguito poi nel 2016 e nel 2017 dalla ferita profonda che ha colpito il Centro Italia.
LA MOSTRA A MATERA
A questi temi ed eventi, senza dimenticare il sisma nel Belice nel 1968 o i fatti dell’Emilia Romagna, 2012, con qualche incursione in Calabria, è dedicata la mostra Terrae Motus presso Palazzo Acito a Matera, nell’ambito di Matera 2019, fino al 20 gennaio. L’esposizione è l’evoluzione naturale della piattaforma “Lo stato delle cose. Geografie e storie del doposisma” – l’osservatorio di fotografia sociale e documentaria sull’Italia colpita dal terremoto online, del quale Artribune vi ha già parlato lo scorso novembre 2018 e che ormai conta oltre 15.000 immagini, peraltro consultabili in mostra attraverso un pannello interattivo. A curare l’intero percorso espositivo l’ideatore dell’osservatorio, il giornalista Antonio Di Giacomo. 124 le immagini e gli apparati video presenti realizzati da fotografi quali Massimo Siragusa, Massimo Mastrorillo e Gianluca Panella, TerraProject, Giuseppe Carotenuto, Michele Amoruso, Marco D’Antonio, Cosmo Laera, Christian Mantuano, Matteo Minnella, Armando Perna, Stefano Stranges, Ivan Romano, Davide Curatola Soprana, Michele Lapini, Stefano Schirato, Max Cavallari, Roberto Salomone, Luana Rigolli, Gianni Zanni e Marta Viola, tra gli altri.
UNA RICOSTRUZIONE MORALE
“Voler bene all’Italia, il tema è questo”, scrive il curatore nel volume che accompagna la visita. “Orientare i propri sguardi, il cuore e le intelligenze sull’Italia fragile, equivale a prendersene cura”. Riportare lo sguardo sulle macerie dunque non significa solo costruire testimonianze di ciò che è stato, combattere la stasi che segue la scossa e congela il tempo, ma è soprattutto un gesto di cura, un auspicio all’evoluzione, un modo per incoraggiare ora e sempre una ricostruzione reale e morale, fisica e interiore, affrontare il trauma senza rimuoverlo per creare una vita dopo il terremoto. “Con l’auspicio che il prima possibile senza più aspettare il senno di poi, si dia inizio a quella messa in sicurezza dell’Italia che è la sola strada percorribile per sottrarre il Paese alla sua vulnerabilità e preservarne così il futuro. Perché se è vero che i terremoti non possono essere previsti è invece un dato certo che oggi abbiamo a disposizione le competenze e le tecnologie affinché luoghi, comunità e beni culturali possano uscirne indenni, come succede altrove nel mondo. A patto di voler bene all’Italia”.
– Santa Nastro
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati