Tra andare e tornare. Tracey Emin a Roma
Galleria Lorcan O’Neill, Roma ‒ fino al 23 novembre 2019. Tracey Emin torna nella galleria Lorcan O’Neill di Roma con il progetto “Leaving”. Un passato che si manifesta in un ritmo incessante di dipinti che investe l'intera galleria. L'energia dell’artista si trasforma in una pittura vitale e fortemente emotiva, dove il colore e la linea avvalorano un sentimento di cambiamento inquieto che oltrepassa la soglia dell’intimità per arrivare direttamente al pubblico.
“Il simbolo non è oltre, ma dentro la realtà; attacca le radici stesse dell’essere, l’esistenza e l’amore, l’amore diventa ossessione sessuale, l’esistenza la morte. (…) la parola deve diventare, o tornare a essere, urlo. Il colore deve bruciarsi nella sua stessa violenza: non deve significare ma esprimere”. Così scrive Giulio Carlo Argan a proposito di Edvard Munch, uno dei grandi maestri a cui s’ispira Tracey Emin (Londra, 1963). Oltre a lui anche Egon Schiele rientra tra i suoi artisti di riferimento, come lei stessa afferma: “Schiele è stato uno dei miei artisti preferiti. La maggior parte degli artisti che stimo usano le emozioni e i sentimenti nei loro lavori, come ho sempre fatto io. La pittura è azione, è immediatezza. È una canalizzazione di sensazioni. Io non mi reputo un’artista concettuale, mai lo sono stata e mai lo sarò”.
Se Munch e Schiele hanno fatto del proprio vissuto un tratto distintivo della loro pratica artistica, passando dalla sfera individuale a quella collettiva, si può dire lo stesso per Tracey Emin. Una personalità segnata dalla vita che ha trovato la sua espressione attraverso diversi linguaggi contemporanei e che oggi, in Leaving, decide di focalizzarsi sulla pittura e sul disegno. “Continuo a lavorare perché mi fa pensare, mi ricorda di essere una persona, di essere umana, ma nulla è cambiato rispetto a prima. (…) Ho realizzato che nella vita puoi fare dei grandi errori. Questi ti rendono libero e ti fanno andare avanti. Forse è proprio questa la differenza nel mio lavoro, oggi. Apprezzo gli errori”, dichiara l’artista.
LEAVING
“Io voglio morire. Non voglio stare qui. Mi sono sentita per molto tempo triste, ingrata, delusa. (…) Non importa cosa accada, io mi sento sempre sola e, occasionalmente, sollevata. Sono onesta, rispetto la realtà. Voglio morire, non commettere un suicidio. Voglio morire perché voglio andare in un posto altro”. Dunque, un progetto di mostra che si struttura in una successione di opere che si fanno portavoce del sentimento tragico della sua vita tra soggetti ora celati, ora definiti, in un’oscillante andare e tornare. Le linee, spezzate e convulse, i colori, accesi e tenui, e le iscrizioni investono le trame delle tele che si raccontano a gran voce. Un passaggio dalla realtà esterna tangibile a quella interna invisibile rendendola viva, incarnando un sentire comune nel quale tutti possiamo rispecchiarci.
Una partenza sì, ma anche un ritorno, come il quadro che ricorda Margate, la periferia di Croydon nel Sud dell’Inghilterra, dove è nata e vissuta. Legami intimi e forti che l’artista decide di esporre, come il ritratto di lei e sua madre: “Lei era seduta a fare un cruciverba e io ero di fianco a lei sul divano. È un ritratto molto forte che volevo fare”.
ESSERE ARTISTI OGGI
“Come artista penso che la prima responsabilità sia quella di essere veri e, in secondo luogo, avere la responsabilità di esprimere qualcosa di ‘non detto prima’ come un medium. Dire qualcosa che altre persone non abbiano visto prima, in una modalità inaspettata con diversa forma ed espressione. Io lavoro con le mie emozioni e trovo un modo semplice e universale per far arrivare le mie opere. Nel lavoro che ho fatto 25 anni fa, ‘Everybody I have ever slept with’, l’idea era che le persone entrassero nella tenda e leggessero i nomi di quelli con cui avevo dormito. Questo faceva scaturire nel pubblico considerazioni circa le persone con le quali avevano condiviso del tempo, iniziando così a pensare a loro, alle loro vite, ai loro passati amori e al resto (…)”, afferma l’artista.
I linguaggi utilizzati dalla Emin toccano le corde dell’animo umano cercando di creare un varco che possa andare oltre la mera esperienza dell’opera. Parole, sculture, fotografie, neon, disegni e dipinti si sono espressi, e si esprimono ancora oggi, dando voce a quelle sopite emozioni che sono riposte nell’inconscio, dove un brulicare di immagini assumono una propria forma, vitale e pulsante. “(…) I grandi dipinti mi dicono qualcosa che non so e questo è un aspetto molto interessante per me. Penso che se è interessante per me, forse, lo è anche per il pubblico”.
‒ Valentina Muzi
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