Memorie (In Ascolto). Arte, letteratura e creatività in un mercato rionale di Centocelle a Roma
Abbiamo intervistato Johanne Affricot che ha ideato questa rassegna che coinvolge il meglio della creatività afroitaliana in un progetto contro gli stereotipi. In un mercato coperto, tra arte cinema e letteratura
(Memorie) In Ascolto è un invito a fermarsi, un invito ad ascoltare, a liberarsi di quelle sovrastrutture e filtri che molto spesso condizionano il nostro pensiero e analisi critica della società, allontanandoci da percorsi di riconoscibilità e scoperta del sé, sia individuale che collettivo. Il progetto consiste di due installazioni site-specific realizzate nell’ambito della rassegna Futura Memoria – Contemporaneamente Roma 2019. Per tre giorni abiteranno il mercato al coperto Iris, nel quartiere Centocelle, fino al 26 novembre. Si tratta di due interventi artistici che si inseriranno nella quotidianità del mercato, un luogo diverso, lontano rispetto agli spazi in cui abitualmente si fruiscono l’arte e la cultura nelle loro diverse forme, alla ricerca di un incontro diretto con le persone, non mediato, sia in forma virtuale che reale. Abbiamo parlato con la curatrice e anima del progetto Johanne Affricot.
Come rientra il tema dell’Afroitalianità in tutto questo?
Più che del tema di Afroitalianità, che, mi preme sottolineare, ognuno vive in maniera diversa, parlerei di presenza, esistenza, di appartenenza, di ampliamento di archivi a cui oggi e nel futuro si potrà attingere. Essere invisibili, inteso come identità italiana, essere riconosciuta come parte del tessuto culturale, sociale, storico di questo paese, ha accompagnato gran parte della mia vita, tutt’ora la accompagna. E succede a tante altre persone, che hanno anche altre origini – non solo africane – messe costantemente in discussione. Però, con molta costanza, stiamo ribaltando queste forme di invisibilizzazione, lavoriamo costantemente, con i mezzi che abbiamo a disposizione, sia a costruire narrazioni diverse che abbattano cliché e stereotipi, sia a svilupparne di nuove, che esplicitano i nostri corpi e amplificano le nostre voci: di italiani, neri, afrodiscendenti.
Il tema della memoria è oggi centrale: pensi che ci sia stato un attacco mirato alla memoria? A cosa ci serve ricordare?
Sì, oggi il tema della memoria è centrale. E credo che in alcuni casi l’attacco sia stato mirato, per nascondere, per far stare le persone a posto con la coscienza, per non farle mettere in discussione, se stesse e la società, in Italia, come in altre parti di mondo, o per mantenere un senso di superiorità. Basti pensare al colonialismo italiano nel Corno d’Africa, di cui anche io conoscevo pochissimo, se non nulla, fino a qualche anno fa, e che recentemente sto piano piano approfondendo. Diversi studiosi, accademici, curatori d’arte, stanno lavorando per riportare in superficie delle tracce fondamentali per comprendere il nostro oggi.
Approfondiamo…
Se pensi alla schiavitù e alla colonizzazione del continente africano, alle colonie, per farti un esempio e domanda forse scomoda ma importante, quanto rimosso c’è stato e c’è ancora oggi di questa memoria? Questo rimosso come lo leggi nella nostra contemporaneità? Recentemente ho letto (per ben due volte) un libro legato ad uno dei miei paesi d’origine, Haiti, dal titolo I giacobini neri – La prima rivoluzione contro l’uomo bianco, di Cyril L. James. È un libro che consiglierei di leggere a tutti. Ti aiuta a capire perché siamo qui, non tanto in senso fisico, ma di salute della nostra società. Evidenzia il ripetersi di rapporti tra individui, paesi, che ancora oggi sono l’espressione di quel sistema, anche se abbiamo fatto enormi passi in avanti. In generale, la memoria, pensando anche a Liliana Segre, ci serve per capire chi siamo, perché siamo in un uno stato. Serve per riflettere sul perché quei rapporti di forza, o privilegio, vengono replicati continuamente. Ci dà gli strumenti per evitare di ripetere gli stessi errori e tracciare nuove strade.
Cosa succederà nei prossimi giorni? Quali sono i racconti che verranno sviluppati e condividi con il pubblico?
Sabato 23 novembre c’è un’installazione video a cinque canali che ha per protagonisti cinque musicisti italiani con origini capoverdiane, nigeriane, congolesi, ghanesi, e anche greche. I protagonisti, Clavdio, David Blank, Mudimbi, Technoir, Vhelade, raccontano di sé, della loro arte, delle loro influenze, del loro processo creativo, dei loro territori, italiani, e delle loro identità plurali, toccando, chi in maniera più velata, chi diretta, anche tematiche legate al colonialismo, al razzismo, all’adozione, all’orientamento sessuale.
La seconda installazione, sempre al Mercato al coperto Iris, è una performance di lettura di racconti brevi (e immagini) inediti raccolti in una fanzine cartacea GRIOT/LIT in edizione limitata. Eleonora Chigbolu (autrice de La fame), Louis Fabrice Tshimanga (con il testo Telai), Claudia Galal (con L’esercizio dell’attesa) e Livio Ghilardi (autore di Sul 3) attraverso le loro memorie restituiranno al lettore territori intimi e personali, alcuni dei quali superano i confini dell’identità, delle geografie, delle origini, mentre altri ne sono l’espressione diretta, in cui c’è stato un incontro tra gli stessi autori coinvolti, che è quello che poi cercheremo nel mercato o di instillare nel lettore.
Che faranno?
Per l’occasione, lunedì 25 e martedì 26 novembre (dalle 11:00 alle 13:00) i quattro autori condivideranno dal vivo queste loro memorie, in una performance di lettura che inizia e si ripete in loop quando il passante si ferma e si siede ad ascoltare. Chi entrerà al mercato si ritroverà quattro postazioni, ognuna occupata da un autore, con di fronte delle sedie vuote. Quelle sedie vuote, al centro del mercato, al centro della quotidianità di una persona che è lì per fare la spesa, magari di fretta, o anche con calma, della casalinga, dell’anziana/o seduto sulla panchina, dello studente, di chiunque, è un invito a sedersi e ad ascoltare, o a prendere una copia della fanzine e ascoltarsela da solo. Entrambe le installazioni hanno un obiettivo: lasciare le memorie trasmesse da questi moderni pellegrini in questo spazio, e innescare nell’altro dei processi di (de)costruzione, condivisione, riconoscibilità̀ e scoperta del sé, individuale e collettivo.
Sono tanti i tuoi progetti passati che parlano di questi temi. Ad esempio in Expats hai mappato i black italians creativi all’estero. Qual è lo stato dell’arte nel nostro Paese oggi? Come si sta configurando questa nuova generazione di creativi?
Sì, con The Expats. The Untold Stories of Black Italians Abroad si è trattato di fare una mappatura sia creativa che identitaria dei neri italiani: siamo qui, esistiamo, siamo italiani, siamo creativi. Con Mirrors, la performance di danza contemporanea e video arte che abbiamo recentemente portato in alcuni teatri nell’Africa subshariana (a Addis Abeba, Dakar, Johannesburg) ho voluto fare un salto più in alto, coinvolgendo direttamente gli artisti, in questo caso danzatori (Ofelia Omoyele Balogun, Roberto Lazzari, Andrea Bouothmane), produttori musicali (EHUA) registi (Jeffrey Alex Attoh) italiani afrodiscendenti. Lo stato dell’arte è ancora poco conosciuto, ma ci sono diversi artisti visivi, per esempio, che stanno facendo molto. Ora come ora, mi vengono in mente l’artista italo-senegale Adji Dieye, che parteciperà alla Biennale di Bamako e alla Biennale di Dakar, al fotografo Marzio Emilio Villa, al pittore Christopher Veggetti Kanku.
Altri progetti?
Con Celine Angbeletchy e Thomas Layne lo scorso anno abbiamo dato vita a LIT, un’associazione culturale che vuole dare ancora più forza a quello che facciamo con GRIOT: ricercare, promuovere, coinvolgere e valorizzare l’opera, l’immagine e l’impegno di artisti, creativi, produttori culturali italiani afrodiscendenti, dell’Africa e della sua diaspora, senza escludere l’Italia e altre contaminazioni culturali e identitarie. Non è semplice, ma ci diamo da fare.
– Santa Nastro
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