Di carne in cera. Berlinde De Bruyckere a Torino
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino – fino al 15 marzo 2020. I poderosi interventi di Berlinde De Bruyckere innescano una riflessione sulla componente organica della materia.
Pensando all’opera di Berlinde De Bruyckere (Gand, 1964) vengono in mente carne, strati di pelle, stracci, lembi, stoffe consunte, ossa e tronchi. Molte sue sculture hanno un’impronta di riconoscibilità: nel loro essere distorte, al primo sguardo rimandano a un che di familiare, perché vediamo un corpo umano, tronchi di alberi, sagome di cavalli. Non sono opere per le quali è sufficiente un’occhiata veloce, ma richiedono di essere esaminate, forse proprio in quanto corpi presentificati. Aletheia è in questo senso inconsueta, perché viene meno il rimando al distinguibile, forse eccettuata quella sorta di cavallina-totemica che è Palindroom, 2019, abbandonata a sé in una stanza asettica.
LA MOSTRA
Aletheia si impone immediatamente in tutta la sua monumentalità attraverso il primo comparto di sculture che gravano nel corridoio, generalmente fruito come anticamera delle sale espositive, contraddistinte da un ossimorico minimalismo organico-minerale. Sembrano cumuli di pelli impietrite, calcificate, impilate su bancali; l’impressione è quella di trovarsi in un deposito: l’“orizzonte di familiarità” non si offre quindi solo nell’opera, ma nell’ambiente stesso. Siamo in un laboratorio di pelli – analogo a quello in cui l’artista si è recata per scegliere dei pezzami equini per le sue sculture e che l’ha vivamente impressionata.
Generando una fredda luce da mattatoio, le lampade industriali che pendono dal soffitto della sala principale, la più grande, invasa dal sale, svelano ulteriormente l’allusione alla concia delle pelli.
CARNE, PELLE, CERA
“Che cosa accade in quell’istante?
Come render conto del passaggio dall’illusione alla disillusione?
E soprattutto: una volta scoperto il trucco, la figura di cera perde il suo potere e, con esso, anche il suo fascino?”
È ficcante questa domanda che Pietro Conte si pone nel libro In carne e cera, sottintendendo però che intuire che si tratti di un simulacro è più perturbante dell’esperire l’originale.
La cera riveste le pelli, ed essendo la cera per antonomasia sostituto della carne, determina un circolo vizioso dove somiglianza e dissomiglianza, apparizione e sparizione si fondono.
La cera, materia duttile, impregnando ogni cosa e contaminandola incarna il fantasma di una mancanza. La componente violentemente sacrale si dispiega al termine di Aletheia, attraverso un trittico di opere in cui la complicità tra materiali si manifesta in una sinfonia di pelle, cera, stracci e carta da parati, che ricorda i corpi appesi degli animali dipinti da Soutine.
‒ Claudia Santeroni
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