55 anni con Paolo Icaro. A Torino

GAM, Torino – fino al 1° dicembre 2019. Una visita alla mostra dedicata dalla GAM di Torino a Paolo Icaro in compagnia dell’artista. Ripercorrendone la storia.

La mattina di domenica 3 novembre Paolo Icaro (Torino, 1936) è venuto alla GAM di Torino per visitare la sua mostra intitolata Paolo Icaro Antologia 1964-2019, curata da Elena Volpato, con la famiglia e un ospite. Vestito di tutto punto, con l’immancabile cappello nero in testa, Icaro viene riconosciuto dal personale del museo, che saluta con un sorriso. Entriamo nella prima sala, intitolata La disarticolazione dell’ortogonalità, dove troneggia sul pavimento Cuborto (1969), la scultura esposta da Francesco Bonami nel 2008 alla mostra Italics a Palazzo Grassi, come una sorta di icona della ricerca di Icaro alla fine degli Anni Sessanta. L’artista si ferma davanti agli Appunti per forme di spazio (1966-67), una serie di modellini di installazioni realizzati durante la sua permanenza a New York, basati sulle immagini delle antenne che vedeva dal tetto del suo studio, a Greene Street. “Sono progetti di mostre mai realizzate, propedeutici a opere successive come le ‘Gabbie’, che ho realizzato negli anni successivi”, spiega Icaro. “Lo spazio di ogni modellino è una stanza rettangolare, che mi interessa perché ha due misure diverse ed è ideale per il mio lavoro”. Il Cuborto si trova davanti a Purple gate (1967), una griglia metallica di colore viola simile a un cancello; permette a un corpo di passarci attraverso e fa parte della serie di opere dette Forme di spazio, cui appartengono le Gabbie, non esposte alla GAM. Nel passaggio verso la sala seguente sono esposti i Pulp drawings (1964), due disegni con una serie di forme create nello spessore della carta: segni che assomigliano a cicatrici su un corpo umano. “In quel periodo ero a Roma e facevo delle terre cotte liberanti. Per liberarmi facevo delle cose primitive, con materiali naturali come la terra e il pane, che mi riconciliavano con il mondo paterno”, aggiunge Icaro. “Facevo 4 o 5 terrecotte al giorno e le portavo a cuocere in una fornace al Trionfale, di cui esiste ancora la ciminiera. Mentre ero impegnato in queste lotte con la terracotta, combattevo anche con una risma di carta cotone molto pregiata, che mi avevano regalato perché non avevo i soldi per comprarla, quindi facevo scultura su carta”. “Incidevi con le unghie?”, gli chiediamo. “No, mi sarei distrutto le dita. Usavo uno strumento particolare: una stecca d’acciaio simile a quelle in osso di balena inserite all’interno dei bustini che allora usavano le donne”.

Paolo Icaro. Antologia. Exhibition view at GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino 2019. Photo Michele Alberto Sereni

Paolo Icaro. Antologia. Exhibition view at GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino 2019. Photo Michele Alberto Sereni

MISURE E ORIZZONTI

Entriamo nello spazio 2, Misure, dove viene documentato il passaggio dalla dimensione minimale della ricerca di Icaro a quella più materica. Su una parete sfilano le Misure corporali (1973): si tratta di una serie di prototipi in filo metallico che segnano le distanze tra diversi punti del corpo dell’artista. “Sono percorsi esplorativi che ho eseguito sul mio stesso corpo: quello segna la distanza tra la rotula del mio ginocchio e il mio alluce, ai quali ho dato i nomi in latino. È un modo di scoprire il mio stesso corpo e guardarlo in un altro modo, da un altro punto di vista”. L’opera sulla parete di fronte, Window show (1974), fa riferimento a una dimensione più fisica e materica del corpo. “Allora vivevo in America e venivo un mese e mezzo d’estate a Calice Ligure, vicino a Finale Ligure. Se Finale era piuttosto ‘in’, Calice era un paesino dell’entroterra, dove era nato Emilio Scanavino, che aveva intorno a sé una piccola corte di artisti: mi chiamò e andai anche io. Mi ricordo come fosse adesso i viaggi tra l’Italia e gli Usa con i transatlantici come Michelangelo e Leonardo da Vinci: una settimana di sogno per attraversare l’oceano”. “Quindi quest’opera è stata realizzata in Liguria?”, gli chiediamo. “A Calice c’era un fotografo che aveva un piccolo negozio con due vetrine sulla strada, dove metteva le sue fotografie. Gli proposi di sostituirle con una serie di sculture piatte e sottili, sempre legate alla misurazione dello spazio tra le dita, segnate su calchi di gesso che sostituiscono i fogli di carta. Così è nato ‘Window Show’”. Sul pavimento al centro della sala è esposto Etcoetera (1978), realizzato con la misura standard del legno di costruzione in Usa, con il quale Icaro aveva realizzato il suo studio a Woodbridge, nel Connecticut. “È la classica unità di misura per le costruzioni negli Stati Uniti”, spiega, “e mettendo insieme ognuno dei blocchetti ho creato una serie di spirali”. Un’altra opera significativa è Misura, soffio (1996): “Non è facile realizzarlo perché devi soffiare in modo regolare, attraverso un equilibrio tra inspirazione ed espirazione. Il primo che ho fatto era nel 1976 negli Stati Uniti, era piccolissimo, poi ne ho fatto una serie di varie dimensioni”. La terza sala, intitolata L’orizzonte degli eventi, è dedicata alle opere in gesso realizzate tra il 1978 e l’82. Paolo si sofferma su un’opera, una sorta di cono che chiama Vuoto: “L’ho fatta con lo stesso metodo che usano i bambini per fare un buco in spiaggia, portando sui lati del buco tutta la sabbia del fondo”. “Ho appena visitato la mostra di Emilio Prini alla Fondazione Merz: lui è il maestro, io sono l’allievo”, conclude.

Ludovico Pratesi

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Ludovico Pratesi

Ludovico Pratesi

Curatore e critico d'arte. Dal 2001 al 2017 è stato Direttore artistico del Centro Arti Visive Pescheria di Pesaro Direttore della Fondazione Guastalla per l'arte contemporanea. Direttore artistico dell’associazione Giovani Collezionisti. Professore di Didattica dell’arte all’Università IULM di Milano Direttore…

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