Tra spazio pubblico e privato a Malta. Intervista alla curatrice Sara Dolfi Agostini
È in corso fino al 30 novembre a La Valletta, capitale dell’isola di Malta, “Use from Below”, una mostra di Ahmet Öğüt e Adelita Husni-Bey sull’attivismo, tra pulsioni social e ritorno al reale. Abbiamo intervistato Sara Dolfi Agostini, curatrice del progetto
Disegni di protagonisti ribelli, bandiere che sventolano e scudi antisommossa allestiti come fossero una porta a battente. C’è questo e molto altro nella mostra Use from Below, la doppia personale di Ahmet Öğüt e Adelita Husni-Bey, in corso fino al 30 novembre negli spazi di Blitz, a La Valletta. Un percorso espositivo dove viene sondato il punto d’incontro tra attivismo reale e distorsione social, che abbiamo deciso di approfondire con Sara Dolfi Agostini, curatrice italiana con base a Malta.
Partiamo dal “dove”. Mi parli di Blitz, il centro d’arte contemporanea di La Valletta che ospita la mostra?
Blitz Valletta è uno spazio non profit attivo da sette anni, e l’unico nel campo del contemporaneo che – almeno finora – è riuscito a impostare un progetto internazionale di collaborazioni grazie alla sua fondatrice, l’artista e curatrice Alexandra Pace. Ben prima del mio arrivo, Blitz Valletta ha avuto riconoscimenti da Art Basel Crowdfunding Initiative (2015) e Tate Art Exchange Programme (2016), più partnership con il Royal College of Arts e la Central Saint Martins University of the Arts di Londra, e un programma di residenze con oltre 200 candidati internazionali per ogni open call. Ho visitato Blitz Valletta e conosciuto Alexandra Pace sei mesi prima di arrivare a Malta, ed è subito diventato il mio punto di riferimento qui per conoscere artisti e visitare mostre di ricerca. Infine, va detto che Blitz è anche una suggestiva casa tradizionale abbandonata per trent’anni, restaurata e restituita alla città – le sue attività sono tutte ad accesso gratuito. Per molti rappresenta uno spazio di resistenza in questo spettacolare “museo a cielo aperto” preso d’assalto da navi da crociera, franchising, boutique hotel e speculatori edilizi.
Da quanto tempo sei parte del loro team curatoriale, e quali sono i tuoi ambiti di ricerca principali?
Quando sono arrivata a Malta, Alexandra Pace stava riflettendo sul futuro dell’istituzione in un contesto socio-politico profondamente trasformato dal boom economico e dall’ondata migratoria da Europa e Nord Africa. Malta è entrata nell’Unione Europea nel 2004 e ha introdotto l’euro nel 2008. Da allora la crescita è stata inarrestabile, in controtendenza rispetto a quanto accadeva a livello regionale, con la Primavera Araba, la caduta di Gheddafi, la recessione economica in Italia e l’ascesa politica dei populismi. Malta per la prima volta è diventata un polo di attrazione internazionale, ma almeno in campo artistico non lo è ancora abbastanza, se non in modo sporadico. Blitz Valletta aveva dunque bisogno di sostituire le open call con un programma curatoriale ad hoc, cui subordinare l’uso della residenza, capace di inserire stabilmente l’istituzione – e la comunità artistica locale – nel milieu artistico internazionale, ma anche raccontare ai turisti che tutto l’anno affollano questo arcipelago del Mediterraneo (2,6 milioni nel 2018) il presente, l’arte e la storia, pilastri credo di ogni progetto culturale.
La mostra Use From Below è una doppia personale di Ahmet Öğüt e Adelita Husni-Bey. È un progetto con ovvi presupposti socio-politici. Mi racconti meglio?
Dal 2012, con il movimento Occupy Wall Street, e ancora di più negli ultimi anni con Women’s March, #MeToo e le proteste contro il cambiamento climatico, abbiamo assistito a un’esigenza di uscire dalle “echo chambers” create dai social network, soprattutto da Facebook, e tornare in piazza. Ma siamo davvero tutti attivisti come ci hanno abituato a credere i media internazionali? E in che modo possiamo davvero contribuire a trasformare la società, alla luce delle forze di sistema che ostacolano il cambiamento e riducono il nostro potere di azione? Queste riflessioni toccano anche Malta, dove tutto si manifesta in modo concentrato, e hanno ispirato la nostra conversazione con gli artisti. Da qui il titolo della mostra, Use from Below, che è la traduzione inglese di “ab use”, un concetto teorizzato da Gayatri Chakravorty Spivak– docente alla Columbia University di New York – per suggerire un approccio dal basso, pragmatico e condiviso, a questioni politiche e culturali complesse spesso ridotte a dicotomie astratte come coloniale-postcoloniale, tradizione-modernità. Traslato nel contesto della mostra, il motto “Use from Below” esorta all’azione e incoraggia il visitatore a esercitare il proprio potere.
Per indagare il tema avete scelto disegni, video, installazioni e una serie di buste per lettere…
L’accesso alla mostra richiede un’interazione con The Swinging Doors(2009-19), una scultura di Ahmet Öğüt realizzata con due scudi antisommossa trasformati in una porta a battente, dietro la quale troviamo Agency-Giochi di Potere (2014) di Adelita Husni-Bey, una video-installazione commissionata dal MAXXI. Dal conflitto come fattore di cambiamento, si passa alle storie di eccezioni e disobbedienza con i disegni di Ahmet Öğüt della serie Fantasized Fantastic Corporeal World (2019), mentre Story of The Heavens and Our Planet(2008) di Adelita Husni-Bey ci porta tra i militanti in difesa della natura in Inghilterra.
La seconda parte del percorso sembra invece mirare all’analisi di eventi precisi, assunti ad esempio del conflitto tra spazio pubblico e privato.
È così, la mostra prosegue con un programmatico richiamo alla realtà, attraverso varie opere di Ahmet Öğüt come Possibly Self-Made Art Archive(2019) – un intervento su lettere del periodo postcoloniale maltese ispirato al Mail Art Movement, la bandiera If You Would Like to See This Flag in Colors, Burn It (Homage to Marinus Boezem)(2017) e l’ambiguo report da Zuccotti Park nella video-installazione Oscar William Sam (2012). Ognuno dei due autori ha inoltre installato un’opera fuori da Blitz, in collaborazione con l’Università di Malta e lo storico negozio The Wembley Store di Valletta, che ci ha offerto una vetrina in Republic Street.
Ahmet Öğüt è un artista turco, Adelita Husni-Bey è libano-italiana, mentre tu fai la spola tra New York, Milano e La Valletta. L’intreccio di culture tra gli autori del progetto mi sembra già un ottimo incipit al suo tema. Quanto c’è di “locale” – ovvero quanto di relativo alle esperienze geopolitiche del singolo – e quanto di universale in questa riflessione?
Un elemento cruciale della nostra nuova programmazione è esporre opere di artisti internazionali che hanno un potenziale interesse per Malta e sono disponibili a costruire una familiarità con il luogo e partecipare al nostro programma pubblico di conferenze. Questa pre-condizione offre naturalmente la possibilità di creare un ponte tra locale e universale, e ha funzionato con Adelita Husni-Bey, Ahmet Öğüt e gli artisti che li hanno preceduti, da Sara Cwynara Andy Holdena Paul Sochacki– solo per citarne alcuni. Tutti sono stati ospitati in residenza e hanno lavorato “site-specific”, non nel senso abusato di produrre contenuti locali, bensì di esplorare e conoscere il contesto sociale, economico, politico e culturale in cui il loro lavoro sarà fruito. Alcuni incontri hanno superato le nostre aspettative! Tobias Zielony, con cui inauguriamo l’11 dicembre prossimo, ha prodotto due nuove opere e torna a Malta per la terza volta in un anno, mentre Rossella Biscotti ha coinvolto Blitz Valletta in una collaborazione con il Kunstenfestival des arts di Bruxelles per un ambizioso progetto performativo che si realizzerà a Malta l’anno prossimo.
Sei arrivata a La Valletta nel 2017, quando la città si preparava a ottenere il titolo di Capitale Europea della Cultura. A un anno di distanza dal riconoscimento, saresti in grado di darmi un resoconto generale sull’esperienza? Quanto il contesto ha beneficiato di questa occasione, e cosa resta di quel fermento oggi?Come in tutte le città Capitali Europee della Cultura, anche La Valletta – Malta ha mostrato i limiti di questo tipo di manifestazione, che vuole essere tutto e niente, sostenere la scena locale, ma con un gusto mainstream spesso insipido. Il fattore che ha reso questa esperienza, se non diversa, almeno più interessante è che Malta conta solo mezzo milione di abitanti – di cui circa seimila a Valletta – quindi i finanziamenti sono arrivati anche ad artisti e a Blitz Valletta – che ha potuto lanciare un ambizioso programma di residenze triennale. E poi credo che la Capitale Europea della Cultura, pur problematica, abbia esposto Malta a un confronto reale con le altre città europee, e spinto il paese – in pieno boom economico – a restaurare il Muza – Museo Nazionale di Arte, e a investire nella prima istituzione pubblica dedicata al contemporaneo: si chiamerà MICAS – Malta International Contemporary Art Space, e inaugurerà in uno spazio restaurato dei bastioni intorno a La Valletta nel 2021. Le attività di MICAS sono già iniziate l’anno scorso, con l’art week e il lancio di commissioni site-specific con artisti di calibro internazionale, prima Ugo Rondinone e quest’anno Pierre Huyghe in una collaborazione con Serpentine Galleries di Londra.
– Alex Urso
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